Commenti ricevuti dal Comitato Valdo Fusi

19/5/2005 marta fusi
20/5/2005 donatella d'angelo
20/5/2005 francesca referza
20/5/2005 giovanni torretta
20/5/2005 franco corsico
23/5/2005 giambattista quirico
3/6/2005 enrico salza
4/6/2005 tom muirhead
9/6/2005 enrico bettini
26/6/2005 luigi bobbio, franco corsico, matteo robiglio
4/7/2005 mercedes bresso
2/9/2005 benedetto camerana
2/11/2005 giovanni torretta
21/12/2005 andrea miglietta



19/5/2005 marta fusi
valdo fusi nacque a pavia il 9 maggio 1911, da antica, operosa famiglia pavese, e morì all’ improvviso ad isola d’asti il 2 luglio 1975, nella casa della moglie. frequentò i primi due anni del liceo a pavia. il terzo anno lo completò a torino, dove il padre si era trasferito per lavoro. enrica malcovati, sua docente liceale, ricorda valdo così: "vivo è in me il ricordo del giovinetto studente di liceo altissimo, bellissimo, vivacissimo: intelligente,esuberante; sprizzava gioia di vivere, attirava l’attenzione e la simpatia dei compagni tra i quali godeva di un certo prestigio. non brillava nello studio, sicchè dovette riparare a ottobre il greco". a torino, fusi concluse l’ultimo anno della scuola superiore presso il liceo "massimo d’azeglio". cristiano convinto e coraggioso, si iscrisse al circolo della gioventù cattolica intitolato a severino boezio e fece parte del consiglio direttivo della fuci ( federazione universitaria cattolici italiani). nel maggio del 1931 il circolo venne chiuso per ordine del governo fascista. un decreto prefettizio dichiarava sciolte tutte le associazioni giovanili di qualsiasi natura che non facessero capo alle organizzazioni del partito nazionale fascista e all’opera nazionale balilla. fusi è il solo presente in sede al momento dell’incursione dei funzionari della polizia, che pongono sotto sequestro gli arredi del locale e portano via la bandiera del circolo. nel biennio 1933-1934, valdo scrisse due operette musicali, che un gruppetto di giovani e volenterosi orecchianti recitavano e cantavano al teatrino del duomo. si trattava di scherzose canzonature dei personaggi più noti del mondo cattolico torinese. i titoli, di rassenerante umorismo, erano "fòmmse coragi" e "yukkaidy". il 26 novembre 1934, fusi si laureò in giurisprudenza presso la regia università di torino a pieni voti con lode. prestò poi servizio militare con il grado di sottotenente del primo reggimento granatieri di sardegna. crollato il fascismo il 25 luglio 1943, si impegnò nella fondazione del partito della democrazia cristiana. dopo l’8 settembre, partecipò subito alla lotta contro il nazifascismo. membro del comando militare del comitato piemontese di liberazione nazionale, fu arrestato nel duomo di torino con tutti gli altri componenti del gruppo direttivo clandestino. mussolini volle che questi ribelli fossero processati all’istante. il "processo di torino" fu uno dei gesti più repressivi per arginare il dilagante movimento di liberazione in alta italia. il 3 aprile 1944, dopo brevissima istruttoria, il processo si concluse con la condanna a morte di balbis, bevilacqua, biglieri, braccini, giachino, giambone, montano e perotti. la fucilazione alla schiena ebbe luogo al poligono di tiro del martinetto, alle prime ore del 5 aprile 1944.Tutti i patrioti gridano: "viva l’italia libera!". fusi, assolto per insufficienza di prove, scrisse in seguito fiori rossi al martinetto. la delicata sensibilità dell’autore, la sua fine ironia, la sua partecipazione nutrita di amore e di pietà fanno di questo racconto – testimonianza un libro di poesia, un limpido e commosso omaggio alla nobiltà d’animo di uomini, fatti per la pace, che seppero affrontare la morte con serenità per un istintivo senso del dovere. consigliere comunale per cinque anni, riuscì eletto al parlamento nella prima legislatura dal 1948 al 1953. nel quinquennio successivo ebbe impegni di peso come consigliere provinciale. presidente dell’ente provinciale per il turismo, a titolo gratuito, all’incirca dal 1960 al 1963, promosse spettacoli teatrali che ebbero l’apprezzamento del mondo artistico nazionale ed europeo . cessato questo incarico, ottenne la presidenza dell’ ordine mauriziano dal 1964 al 1970, volutamente non retribuita. avvalendosi della sua perizia giuridica, riordinò ed accrebbe il patrimonio dell’antica istituzione sabauda, migliorando così l’ assistenza sanitaria erogata dall’ospedale umberto I. nel 1965, la "famija turineisa" lo proclama "cittadino dell’anno". pavia lo rivendicò come suo cittadino e, nel dicembre 1973, lo onorò con una onorificenza schiettamente pavese: la medaglia d’oro di San Siro, il patrono della città, con il relativo diploma di benemerenza ed una motivazione sobria : "cattolico, penalista di alta qualità, deputato al parlamento, partigiano valoroso, ha descritto le sue vicissitudini in un volume assai noto: "fiori rossi al martinetto" in cui rifulgono sentimenti di alta fraternità umana, assunti come codici di vita". nel 1974 , il consiglio comunale di torino lo nomina "cittadino onorario". viene insignito della più alta onorificenza italiana, quella di cavaliere di gran croce dell’ ordine al merito della repubblica italiana. negli ultimi anni, stava lavorando ad una nuova operatorino un po’ che sebbene fosse ultimata, non ebbe la gioia di pubblicare. un libro ormai caro ai torinesi. una corsa affascinante, che mescola ricordi storici, erudizione artistica, emozioni estetiche e suggestioni segrete della città antica e di quella attuale. nel 1977, il sindaco comunista di torino, diego novelli, con procedura straordinaria a soli due anni della morte, volle intitolare al suo nome con importante piazzale, quello dove sorgeva l’antico politecnico distrutto da un bombardamento: fusi aveva proprio difeso quella vasta spianata dalla profanazione con nuovi moderni fabbricati. quattro vie vi sboccano: via san francesco da paola, via giolitti, via dell’accademia albertina e via cavour. ai quattro angoli della piazza, sbocco delle quattro vie, su quattro targhe di bronzo è stato scritto il nome valdo fusi, scrittore.



20/5/2005 donatella d'angelo
mi si chiede un ricordo, una testimonianza su valdo fusi e subito mi vengono in mente due momenti. uno più privato, quando veniva a trovare mio papà ed ero ragazzina; so che parlavano di problemi legati alla giustizia ed entrambi poi facevano parte d'una associazione. non ero molto interessata ai loro discorsi ma - come fosse oggi - mi affiora l'immagine d'un signore alto, allampanato dai modi cortesi ma asciutti, poco incline al sorriso ma diretto e concreto. più avanti nel tempo, mi invitò ad entrare in italia nostra; non seguii subito quel suggerimento, ma solo dopo qualche anno ci ritrovammo io consigliere della sezione cittadina, lui vicepresidente e poi presidente. ricordo le sedute, i lunghi consigli informali ma produttivi, senza retorica e verbali, ma efficaci e propositivi, tesi ad azioni dirette e mirate all'interesse della città. chissà perché lo ricordo allungato quasi disteso su una di quelle sedie sgangherate della sezione a lanciare invettive contro il degrado delle dimore sabaude,i casermoni dei palazzinari torinesi, l'inarrestabile declino dei palazzi storici del centro. non alzava mai la voce,ma aveva un tono amaro, sarcastico, il suo viso si trasformava, quasi ne veniva una smorfia quando gli si denunciava uno sfregio alla "sua" città. valdo fusi non era un "simpatico" e non voleva esserlo, per questo era un grande e lo stimavo; ho sempre avuto simpatia (mi si passi il gioco di parole) per gli "antipatici" perché avendo un brutto carattere hanno un carattere e non sono quindi inclini al sì, all'ossequio al potere al conformismo. valdo fusi era come antonio cederna, come giorgio bassani come augusto cavallari murat (ah, se avessi registrato le sue lunghissime telefonate - vere e proprie lezioni di storia!!), erano tutti "uomini contro" che non ammiccavano, non cercano il consenso, la simpatia non avevano il sorriso stampato a 36 denti,sapevano indignarsi ed inveire contro il pressapochismo, la superficialità, il malaffare... valdo fusi era uno di questi "sublimi antipatici" che con una battuta fulminava gli idioti e... me l'immagino adesso come avrebbe reagito davanti a tanta scempiaggine, alle lacrime di coccodrillo di tanti, all'inerzia di molti, all'ipocrisia di alcuni ed alla vera sincera indignazione di pochi. non consentiamo per lo meno di lasciare il suo nome a fronte d'una infamia che avrebbe con veemenza e coraggio combattuto... ma no forse è l'ironia della sorte che ha voluto per l'ultima volta dal cielo farlo arrabbiare per ricordarcelo così sempre sublimamente antipatico, combattivo e unico.
donatella d'angelo (già presidente della sezione di torino di italia nostra)




20/5/2005 francesca referza
mi occupo di arte contemporanea con una particolare attenzione a ciò che accade nello spazio pubblico. quella offerta dal comitato valdo fusi sembra in effetti una bella occasione per ripensare e ridisegnare, per usare un termine rinascimentale, porzioni di tessuto urbano, in un'ottica finalmente non episodica e, per la prima volta in italia per quanto riguarda l'architettura, partecipata, parola magica ormai di moda tra molti addetti ai lavori del settore. e' appunto in questa importante occasione offerta alla città di torino dal gruppo del comitato valdo fusi che sarebbe interessante applicare un principio spesso disatteso, cioè quello della progettazione parallela e coordinata di architettura ed arte. troppo spesso infatti in una progettazione urbanistica ed architettonica che si trovi al grado zero, all'arte viene assegnato un odioso quanto umiliante ruolo decorativo - ornamentale e comunque di nicchia ( e quindi piuttosto posticcio rispetto al contesto in cui viene inserito), quando non accade, in situazioni urbane preesistenti, che all'arte e all'artista si chieda una onerosa quanto improbabile funzione riparatoria di precedenti danni architettonici attribuendo così alla singola opera una sorta di potere consolatorio, estetico e sociale, che spessissimo, peraltro, non è in grado di esercitare. ora ci si domanda se questa situazione sia conseguenza di una sorta di snobismo di una disciplina ( termine riduttivo me ne rendo conto, ma non me ne vengono altri al momento), l'architettura, nei confronti di un'altra, l'arte, o se sia l'effetto di una carenza legislativa che non pone vincoli ( ma nemmeno impone regole procedurali ) di nessun tipo sull'argomento ( eccezion fatta per la problematica legge del duepercento ), confidando così totalmente sulla lungimiranza dei committenti. d'altro canto, tuttavia, una certa doverosa prudenza nei confronti dell'arte va assolutamente esercitata dal momento che, ormai dagli anni novanta, dilaga un certo sommario interesse per gli interventi pubblici, sia da parte di una committenza spesso smaniosa di esibirsi, sia da parte degli artisti, incondizionatamente disposti ad improvvisarsi attori dello spazio pubblico. con questa ultima affermazione, presa in prestito da enrico crispolti, non intendo ovviamente giustificare un eventuale snobismo dell'architettura sull'arte, ma nemmeno farmi paladina dell'arte pubblica in genere. sono, pertanto, convinta che quella offerta dal comitato valdo fusi debba considerarsi una imperdibile occasione per riscattare, nel campo della progettazione urbanistica, errori commessi altrove dall'una e dall'altra parte.



20/5/2005 giovanni torretta
si allega lettera spedita alla stampa dalla societa' degli ingegneri e degli architetti in torino, c.so massimo d'azeglio 42, in data 27 ottobre 2004
egregio direttore,
il dibattito esploso sulle pagine de "la stampa" a proposito di quanto sta accadendo sulla spina e sul "valdo fusi" ci lascia perplessi per il poco risultato che promette. nei prossimi anni appariranno le opere delle olimpiadi, si inaugurerà la metropolitana, si continuerà a completare la spina. se la città non prenderà queste occasioni per migliorare la capacità collettiva di giudizio difficilmente potrà aspirare al ruolo europeo che spesso si attribuisce. uno confronto a base di insulti, corredato da solidarietà su barricate, non può aiutare a costruire nulla. un confronto sul "bello" è un accademico discutere sul sesso degli angeli. se il "valdo fusi" (nome che ai più anziani ricorda stili e comportamenti che sembrano lontani di secoli) non trova il gradimento della città, occorre cercare di capire perché. perché non funziona il tentativo di ricostruire il perimetro dell'isolato e di trattare l'invaso interno come un catino verde con un piccolo edificio nel centro, di proporre una sorta di giardino protetto rispetto al traffico circostante. cos'è che genera rifiuto? sono forse i muri che fanno il verso caricaturale a quelli del vecchio s. giovanni, oppure l'eccessivo spazio delle rampe di accesso che danno l'aspetto di grande stazione di servizio o ancora la modestia dell'edificio centrale ? in buona sostanza il "modo" con cui è stato attuato il progetto? oppure è l'idea di progetto, con volumi troppo frazionati, fuori scala rispetto alla compattezza degli edifici circostanti, schema progettuale che non riesce ad entrare in dialogo con la città che lo circonda, che non riesce a proporre una sufficiente amenità dello spazio nuovo in alternativa alla ricostruzione dura di un isolato rimasto inesplicabilmente vuoto dopo le demolizioni belliche oppure ancora è l'idea stessa di distruggere l'alberata che ormai aveva preso corpo nel nostro immaginario, alberata che si era ormai resa insostituibile, soprattutto se eliminata per fare spazio a pochi parcheggi in più rispetto a quelli che ospitava? la sommaria analisi potrebbe continuare ma è evidente che può chiamare in causa, secondo il livello in cui la carenza si rivela maggiore, i progettisti, per le modalità di sviluppo dell'idea iniziale, o la commissione di concorso (é proprio vero: il progetto fu affidato con un concorso pubblico a scala europea!) per l'incapacità di valutare le gerarchie degli spazi urbani, o la amministrazione comunale, per la decisione di sostituire l'alberata con un modesto parcheggio interrato.
ma tra le cose viste e lette su "la stampa" negli ultimi giorni, l'accento più sconcertante ed in un certo senso divertente per il sarcasmo che può suscitare sta in quell'immagine dell'amico cagnardi che con il dito indica con scandalo gli edifici che stanno nascendo sulla spina. secondo lui, sono brutti ma non dice perché. sono edifici carenati da quel jean nouvel che ha firmato alcuni degli interventi più prestigiosi nati negli ultimi anni in europa. il nostro enigmatico francese non ha mai brillato per attenzioni particolari alle cose/case in mezzo alle quali ha inserito i suoi interventi, basti ricordare la sede del festival musicale di lucerna, ma la sua maestria nel trattare l'edificio è fuori discussione, e anche quello indicato con il dito di cagnardi rivela un certo garbo, insolito rispetto alla produzione corrente di torino. ci spieghi cagnardi cos'è che non va. non sarà forse la sorpresa per la mal calcolata dimensione degli interventi nuovi del suo piano regolatore? ricordiamo che quel piano è tutto orientato a costruire sulla spina alcuni nuclei di riferimento di classica presenza (il politecnico, il palazzo della regione, i due edifici alti all'incrocio tra spina e c.so vittorio) come tante volte ci è stato illustrato con plastici e vedute. monumenti che avrebbero dovuto scandire il grande nuovo viane nord-sud. ma se queste presenze sono affogabili all'interno di ambiti urbani in cui con ogni sforzo, persino reinserendo il trasferimento di cubatura, si consente una concentrazione di edificato molto alta, le gerarchie saltano. la parte di città che dovrebbe fare da struttura omogenea e di corredo rispetto ai pochi edifici emergenti prende il sopravvento e annulla ogni rapporto gerarchico. la concentrazione non è avvenuta per caso ma è il frutto delle previsioni di piano che volevano creare condizioni economiche appetibili ed invitanti per gli imprenditori che si fossero avventurati nelle realizzazioni, insomma è il risultato di un "sano" realismo progettuale. e allora perché stupirsi?
tutto ciò rimanendo all'interno della logica del piano regolatore, anche se si tratta di un piano che ha fatto nascere non poche perplessità per il carattere poco dialogante con la splendida struttura storica della nostra città che è portata ad esempio in ogni manuale di urbanistica.
caro direttore, la nostra società da sempre (siamo stati fondati nel 1866) segue con attenzione ed ha pubblicato sulla propria rivista i principali atti destinati ad incidere sulla città. ritiene che quanto sta accadendo sia di grande importanza per il futuro del nostro vivere urbano. su questi argomenti sarebbe di grande utilità stimolare dibattiti più approfonditi che consentano confronti e aiutino a maturare la comunità. perché non dedicare per un po' di tempo una colonna del giornale per dare uno spazio più sereno e soprattutto più ragionato al confronto tra progettisti, imprenditori, amministratori e critici. forse così si potrebbe contribuire meglio alla crescita collettiva. basta guardare oltre confine per rendersi conto di quanto ne abbiamo bisogno. "aspettare" che le cose siano finite per discuterne può essere una buona e prudente politica ma avviene quando ormai tutto è realizzato e, se non condiviso, accettato con una certa rassegnazione. il ferro va battuto fin che è caldo.
a disposizione per eventuali suggerimenti la saluto con molta cordialità.
il presidente della società, architetto giovanni torretta




20/5/2005 franco corsico
ti ringrazio della comunicazione-invito relativo all'iniziativa per sviluppare azioni di dibattito e confronto allargato sui temi della qualità urbana negli interventi a torino. aderisco all'iniziativa confidando che lo sforzo comune sia proprio quello di effettuare valutazioni serene. attrezzarsi per migliorare la nostra capacità di intervento è assolutamente necessario, a questo possono anche contribuire le riflessioni sui limiti dei risultati di ciò che si è realizzato o si sta realizzando purché lo sforzo sia positivamente e responsabilmente rivolto a trovare soluzioni condivise e dotate di "saggia prudenza".
in questo spirito non farò mancare il mio modesto apporto e ancora ti ringrazio per aver voluto interpellarmi. a causa di precedenti impegni oggi non potrò purtroppo essere presente ma rimango comunque a disposizione
un cordiale saluto
franco corsico




23/5/2005 giambattista quirico
ho compreso la sua inziativa e la sua proposta. devo però dirle che il mio ruolo ricoperto nell'istituzine mi impedisce di aderire al comitato. cordialmente, giambattista quirico




3/6/2005 enrico salza
oggetto: richiesta di adesione al comitato valdo fusi.
ringrazio ma non posso aderire. in qualità di presidente della banca san paolo imi oggi e presidente della locale camera di commercio ieri, il più elementare rispetto della deontologia professionale non mi consente di fare altrimenti. nella nostra città, evidenti responsabilità istituzionali mi obbligano, come cittadino e come imprenditore, ad essere rispettoso delle scelte che l'amministrazione comunale ha assunto o comunque vorrà assumere un domani.
peraltro so di aver già dato, a suo tempo, insieme ai miei collaboratori un serio contributo. molti anni fa, nel 1990, nelle vesti di presidente della camera di commercio di torino, promossi la costituzione di una società a maggioranza pubblica (50% camera, 25% automobile club, 25% privati) per la realizzazione di un parcheggio e relativa sistemazione della piazza con tanto di concorso per la progettazione e pubblicazione di tutti i progetti, che furono presentati ufficialmente e trasmessi all'assessore competente, assieme ai relativi studi sulla viabilità intorno al piazzale (all.1).
leggendo poi lo statuto, all'art.12 si afferma che "al 31 dicembre 2006, qualora non sia stato conseguito lo scopo del comitato" esso stesso si scioglierà, mi domando: non c'è un eccesso di presunzione? quando a parigi furono costruiti il beaubourg o la piramide di vetro al louvre, furono tutte positive le relazioni dei parigini? certamente no, ogni testa un'idea diversa, però parigi è cresciuta anche tramite queste "provocazioni". credo sarebbe cosa saggia, al di là delle meditazioni del comitato, darsi un tempo almeno triennale, forse quello che oggi non piace, tra tre anni sarà apprezzato in modo diverso. vedo con piacere che l'art. 6, punto 3, dello statuto recita che "i componenti del comitato ed il presidente prestano la loro attività e ogni collaborazione a titolo gratuito". avrei personalmente aggiunto che nessun componente accetterà, ancorché richiesto, di essere progettista di eventuali modifiche che il comitato stesso suggerisse.
con i migliori auguri di buon lavoro, enrico salza




4/6/2005 tom muirhead
torino è una delle più belle città del mondo, soprattutto per il rigore del suo impianto urbanistico, una maglia complessa di cui ogni rigo ha il suo valore particolare. entro questa maglia si aprono degli spazi pubblici, quadrati o rettangolari, e che fanno parte dell'insieme. io ogni tanto vengo da londra, altra città di 'squares' settecentesche, per cercare ispirazione. ma ora, a piazza valdo fusi, ho trovato una preoccupante caduta del vostro buon gusto e del vostro leggendario garbo. nella nuova sistemazione, tutto quello che poteva andare male, mi pare sia andato male. le nuove costruzioni ai lati della piazza hanno alterato il rapporto tra cortina edilizia e spazio aperto. dietro a questi nuovi orrendi edifici, troviamo una sorta di vivaio di piante e un campionario di materiali di pavimentazione tra i più svariati, posati malissimo e senza professionalità. al centro, un padiglione che sembra uscito da un libro per bambini. a me questa piazza sembra un disastro urbanistico, concepito da qualcuno che non solo non sa nulla di colori, materiali, spazi, rapporti tra il verticale e l'orizzontale, e tante altre cose, ma che dentro di sé è molto infelice. mi è venuta voglia di andare via e di non vederla più. in un mondo sempre più votato alla volgarità, mi sembrerebbe auspicabile che torino difendesse la propria reputazione, restituendo a questa piazza un disegno sobrio, contenuto, e sopratutto semplice. prima che altri si offendano.




9/6/2005 enrico bettini
ora che è sorto anche un "comitato valdo fusi" per la riprogettazione del parcheggio interrato (e non solo) può essere utile puntualizzare i vari argomenti che la costruzione di quel parcheggio inevitabilmente ha sollevato e solleva.
1) sull'opportunità di costruirlo pesa una decisione politica che ha dato -di fatto- la stura alla costruzione di altri parcheggi sotto le piazze storiche del centro di torino, anche quelle che nessuno pensava potessero essere profanate. di fronte alla levata di scudi contro i parcheggi di piazza vittorio e piazza s. carlo da parte di tante persone colte ed informate -nonché ex amministratori- non si dimentichi questa responsabilità non trasferibile ad altri.
2) sulla regolarità del concorso non c'è proprio nulla da obiettare. e' stato bandito un concorso nazionale, è stata costituita una commissione giudicatrice, è stato nominato il suo presidente, sono stati selezionati i progetti considerati migliori , è stato scelto il progetto vincente e affidato l'incarico di realizzazione ai suoi progettisti. i lavori dei concorrenti sono anche stati esposti alla cittadinanza (la quale, dall'impianto del cantiere e quindi per anni, ha potuto ammirare il rendering dell'opera finita).
3) una prima annotazione da fare è quella dell'importanza decisiva che ha la formulazione del bando di ogni concorso perché esso contiene gli obiettivi dell'intervento e la destinazione d'uso del suolo pubblico. il bando prescriveva la progettazione di un parcheggio interrrato di due piani e la sistemazione a verde della quasi totalità della sua superficie. pertanto, se si vuol incidere sul processo che conduce a determinati risultati occorrerebbe riconsiderare tutte le sue fasi, non escludendo certo la prima (il bando foriero di obiettivi e scelte di livello strategico) che è decisiva di tutto lo sviluppo successivo.
4) una seconda annotazione riguarda, ovviamente, la commissione giudicatrice ed il presidente della stessa. sono loro che hanno scelto e selezionato, sono loro che hanno giudicato 'migliore' il progetto che adesso è realtà. hanno quindi precise responsabilità: chi ha indicato, scelto e nominato i membri della commissione, chi ha designato il presidente, i commissari ed il presidente stessi. anche tali indifferibili responsabilità non possono non essere evidenziate se si vogliono evitare esiti del genere. se è evidente (ed è evidente, non può esserci dubbio) che si è trattato, per talune responsabilità, di leggerezza nelle nomine e, per altre responsabilità, di autentica incompetenza, occorre tutelarsene correggendo il modo di gestire queste fasi da parte della 'macchina comunale' e operando la cancellazione di certa 'nomenklatura' (spesso universitaria) dalla composizione delle commissioni dei concorsi così come di quella di funzionari interni all'amministrazione dimostratisi non all'altezza del compito, per quanto alto sia il loro grado nella gerarchia comunale.
5) nell'abbondante dibattito registratosi con l'approssimarsi della fine dei lavori si è verificato più di un intervento che ha messo in luce come esistesse un preciso orientamento teorico nel simulare la prospettiva delle vie a cortina circostanti tramite le tanto contestate paratie murarie agli angoli del piazzale cui sarebbe stata delegata la resa di un'analoga prospettiva 'a cannocchiale'.
6) se questa era l'idea, meglio sarebbe stato, pensare alla riedificazione dell'intero isolato (con sottostante autorimessa se proprio la si voleva) piuttosto che persistere con l'immagine di un vuoto che poi si è materializzato sul modello di uno stagno prosciugato. Dunque, sono innegabili anche le responsabilità di tipo culturale di cosiddetti esperti appartenenti alla nostra categoria (di architetti e urbanisti) alla quale la pubblica amministrazione spesso non può che affidarsi, per il proprio orientamento, per delega di competenza.
7) il discorso della responsabilità di tipo culturale apre inevitabilmente quello della formazione degli architetti che sta vivendo una fase molto critica, se si vuol esser generosi. Uno degli aspetti sconcertanti è che, se si esce dall'ambito del restauro, è legittimo non saper nulla della storia dell'architettura e tantomeno dell'arte in generale. Come si può, in queste condizioni, chiedere che i progettisti abbiano la preparazione e la sensibilità necessarie ad intervenire in contesti storici dove hanno operato, guarini, castellamente, b.alfieri, ecc. ecc. ?
si possono trarre delle conclusioni.
la prima è che la preesistenza del vuoto, di quel vuoto, ha influenzato non solo la gente comune ma gli stessi cultori della materia urbanistica: quel piazzale dovuto alla sparizione di un isolato e poi diventato, per anni, parcheggio 'a raso', ha indotto a pensare alla stessa destinazione (parcheggio, anche se nel sottosuolo) come se fosse una destinazione d'uso scontata, col risultato che sopra di esso sono state escluse sia la realizzazione di un bel vuoto (una vera piazza) sia un pregevole pieno (la ricostruzione dell'isolato). siamo quasi costretti a seguire il furor di popolo e la sua definizione di brutto di quanto è stato fatto e a non domandarci se, anziché il parcheggio, non fosse preferibile prefissarsi l'obiettivo di trasformare lo squallido spiazzo in una bella piazza oppure quello di abbandonare il vuoto a favore di un'architettura aulica, degna della torino sei-ottocentesca. non saremmo arrivati alla mostruosità attuale e si sarebbe evitato di inaugurare il programma dei parcheggi pubblici in pieno centro storico.
ma, così come è stato ed è tuttora per il cosiddetto palazzaccio di mario passanti in piazza del duomo, la semplicità e normalità popolari se non altro colgono la profonda incoerenza dell'insieme, soprattutto quando si realizzano opere che intendono sistemare definitivamete un luogo rimasto in stato di precarietà per decenni. se poteva essere tollerato un parcheggio provvisorio fatto di righe per terra e qualche alberello, non si può tollerare un'opera monumentale di grande trasformazione dell'area e per sempre. nel centro storico (non solo) si scontano le enormi difficoltà e maggiori scempi in fatto di inserimento ambientale. da questo punto di vista, l'arena con i suoi pendii verdeggianti, questo catino o culla con al centro una casetta ha effettivamente dell'incredibile. c'è da dire , però che gli autori non hanno avuto, almeno in quel contesto, il conforto di validi esempi da parte dei grandi maestri dell'architettura torinese.
a costo di apparire blasfemo e, nel caso di carlo mollino, irrispettoso della sua memoria ( nella ricorrenza del centenario della sua nascita) non si può dire che la nuova borsa di gabetti, raineri, isola e la camera di commercio di mollino, siano da prendere a modello quanto a corretto inserimento e felice soluzione d'insieme. sono entrambe opere interessanti per molte soluzioni strutturali, tecniche e componentistiche ma hanno poco a che vedere con la salvaguardia della coerenza e la ricerca di armonizzazione con la volumetria ed il tessuto dell'ambiente di tutto l'intorno. nel primo caso i cosiddetti 'cappelli da monaca' risolvono una copertura che tende ad annullare il suo peso staccandosi quasi dagli appoggi su poderosi pilastri sfaccettati, annegati in un pesante basamento reso ancor più massiccio dal ricorso al bugnato in pietra scura. nell'altro caso abbiamo un edificio in ferro e vetro, modernissimo all'epoca, con un volume che abbandona qualsiasi rapporto con la volumetria degli edifici degli altri tre lati del piazzale proponendo un imperioso corpo stondato che si proietta a sbalzo sul piazzale medesimo. entrambi hanno evidentemente scelto la linea del cambiamento nella rottura (come sarà poi per la stragrande maggioranza degli interventi dell'architettura moderna), hanno scelto cioè un registro che nulla ha a che vedere con quelli che hanno prodotto la "..metamorfosi nella continuità..", tipici delle innovazioni del passato.
insomma, piazzale valdo fusi è stato e continua ad essere -di fatto- un laboratorio di interventi che hanno dovuto affrontare problematiche fondamentali dell'architettura e dell'urbanistica: il recupero/riuso in un tessuto storico; la riedificazione o no di interi stabili e isolati nello stesso tessuto; l'inserimento del nuovo nel 'vecchio'; la rifunzionalizzazione di aree dequalificate; il tema della piazza, della sua preziosità (e, aggiungo io, dell'incapacità a realizzarle in epoca moderna); l'opportunità, o meno, della costruzione dei parcheggi sotto le piazze della zona centrale delle grandi città; il tema della continuità-discontinuità, della armoniosa coerenza o del deciso contrasto tra i nobili edifici (cortine di edifici) del passato e quelli di nuova costruzione.
pertanto, i progettisti del parcheggio finiscono con l'essere l'ultimo anello di una catena di errori che purtroppo appartengono alla storia dell'architettura (e della cultura) moderna torinese. i progettisti del parcheggio sono autori certamete di una mostruosità e quindi appartengono a pieno titolo a quella catena e, per loro sfortuna, non possono contare nemmeno sulla fama dei loro nomi. Una cosa si può rimproverare agli osteggiatori del parcheggio: l'essersi indignati solo all'apparire della sua abominevole forma e non già alla decisione -peggio che abominevole- di farlo esistere come tale per sempre.
concludo con un augurio: che il furore contro il 'valdo fusi' sia l'inizio di un programma più vasto che comprenda tutti gli interventi che stanno ultimamente costellando di mostruosità torino. possibile che nessuna voce si levi contro quel magnifico esempio di disprezzo del rapporto con l'ambiente circostante che è l'intervento di fuksas a porta palazzo? e sul nuovo ponte -espressione di mirabile legame della carpenteria metallica con il vecchio borgo dell'arsenale e le sponde della dora- alle spalle sempre di porta palazzo, non c'è nulla da dire? eccetera. eccetera.
nota al 'comitato valdo fusi'
e' stato giustamente detto, anche in sede vostra, dell'importanza del bando dei concorsi e che, certamente, è il momento e fase in cui più e meglio può esercitarsi il controllo di tipo popolare. l'obiettivo del parcheggio pubblico, contenuto nel bando, non è mai stato oggetto di consultazione popolare. perché non proporsi di verificare ora tale obiettivo? perché, se si vuol percorrere la via del confronto con gli utenti, non si pongono ad essi le vere alternative: parcheggio pubblico / piazza / ricostruzione dell'isolato e verificare, con le seconde due, la coerenza con la scelta del parcheggio pubblico o di quella del parcheggio solo pertinenziale?
il bando dovrebbe (doveva) discendere da queste verifiche avendo ben cura di chiarire tutte le connessioni che ogni scelta trascina con sé, così come i fatti hanno poi incontestabilmente dimostrato. per esempio, il parcheggio sotto il 'valdo fusi' è l'inizio di un programma di parcheggi in pieno centro: non può e non poteva essere considerato un fatto isolato, in quanto o si fa la scelta di inibilre l'auto di transito per il centro scoraggiandone in tutti i modi l'impiego o si fa quella opposta di permetterne l'ingresso e l'attraversamento col che non basta certo un parcheggio e nemmeno due.
ma per far questo occorre chiarire in modo completo i programmi di trasformazione urbana secondo una visione complessiva da non tralasciare mai (anche e soprattutto per questo si fanno i prg). si scoprirebbe allora che fare il parcheggio pubblico sotto il 'Valdo Fusi' risponde ad una visione dell'immediato, miope, e non risolve alcun problema; che non basteranno quelli di piazza s. carlo e piazza vittorio; che la pedonalizzazione del centro storico non può procedere a un marciapiede qui ed un pezzo di via là ma che vanno semmai accelerati i programmi di estensione delle linee di metropolitana, di strade sotterranee, di linee superficiali tipo "star", di taxi collettivi, ecc. ecc.
nei programmi con una visione complessiva rientra naturalmente l'articolazione delle pause interne all'abitato (piazze ed aree verdi) in particolare quelle del centro cittadino. ma qualsiasi intervento su di esse non può prescindere dal loro grado di vivibilità che è strettamente conseguente alla decisioni sulla viabilità attorno (ed anche interne) ad esse.
pertanto, il legame -ampiamente condivisibile- tra aree verdi interne al fitto abitato è in netto contrasto ed antitetica con la destinazione di una o più di esse ad autorimessa pubblica. suggestiva è l'idea della connessione soprattutto tra le aree di piazzale valdo fusi, aiuola balbo e giardini cavour (perché escludere questi ultimi?), intrecciate e lambite con piste ciclabili (in progetto) ma risulterebbe impraticabile se si continua ad utilizzare il loro sottosuolo per attrarre le auto di tutti i cittadini che vogliono venire in centro.
pa revisione di quanto è successo in piazzale valdo fusi deve partire dai questi presupposti se non vuol limitarsi ad una ritoccata soloesteriore (anche se non da sottovalutare) e mandare un segnale simbolicamente forte già sul piano delle scelte a monte, non solo delle scelte tra una forma o un'altra da dare ad una decisione comunque sbagliata.
per quanto riguarda quest'ultima, infine, occorre rifuggire da semplificazioni (che sono già circolate, quali la proposta di riempire tutta la 'conca' di terra e fare una piazza 'a bastione', col risultato di tagliare la visione dei palazzi circostanti da tutte e quattro le vie) che, ripeto, farebbero rimpiangere ancor più le opzioni della piazza e dell'edificato ma questa volta con l'approvazione dei residenti.
la qualità degli interventi non può che discendere dalla ripresa della ricerca di equilibrio, armonia, coerenza e scrupoloso rapporto con l'ambiente in cui gli interventi si collocano. altrimenti, come purtroppo è ormai norma per tanta architettura moderna, sono al di fuori del luogo e della storia. occorre riproporre registri di linguaggio che fungano da riferimento per i progettisti così da garantire linee essenziali di continuità e di omogeneità che non hanno mai impedito o ostacolato la genialità delle soluzioni.
si sconta questa assenza, questo vuoto già nelle norme dei prg e ancor più nel funzionamento delle commissioni edilizie ed anche, inevitabilmente, nelle valutazioni concorsuali. per colmare questa assenza non ci si può limitare ad operazioni di 'lifting' di uno o di tre spazi aperti. e non basta che un concorso sia internazionale per dare garanzie assolute. ma al concorso (di idee, beninteso, che è uno degli obiettivi della nostra associazione) non c'è alternativa. conta, innanzitutto, chiarire bene a fondo le alternative tra gli obiettivi di sviluppo del modo di vivere e quindi imporre che si abbiano tutte le informazioni utili per questo.
la città che ripensa se stessa: questo dovrebbe essere il messaggio forte che, come dalla nostra associazione, dovrebbe emergere dalla indubbiamente bella iniziativa vostra ma che non deve andar sprecata. la peculiarità del 'comitato valdo fusi' credo stia in gran parte nel testimoniare che si sta toccando il fondo dell'impudenza nel costruire le città, anche se il ricorso al popolo non risolve deficit strutturali come quelli fin qui accennati.
e.b.




26/6/2005 luigi bobbio, franco corsico, matteo robiglio
come si decide una architettura in pubblico; contributo per il processo di ridisegno degli spazi pubblici del borgo nuovo.
il dibattito sulla qualità architettonica della sistemazione esterna del parcheggio di piazzale valdo fusi a torino ha portato alla luce un nodo fondamentale della costruzione della città contemporanea: come si costruisce il consenso del pubblico su un’opera pubblica? questo è il vero elemento di novità, attraverso il quale torino potrebbe offrire, a partire da un caso solo apparentemente minore, un contributo utile su un tema che emerge con sempre maggiore forza nelle città occidentali (a parigi come a new york).
la città contemporanea è intrinsecamente pluralista. esigenze, desideri, bisogni e gusti sono diversi, in molti casi opposti. appartengono alla sfera degli individui e dei gruppi, ognuno dei quali proietta le proprie attese e volontà sul proprio spazio di vita. lo spazio privato può essere caratterizzato da ognuno in indipendenza ed autonomia. lo spazio pubblico della città è invece il punto di intersezione, per forza unico anche quando non univoco, di traiettorie molteplici e potenzialmente conflittuali.
lo spazio pubblico della città antica poteva essere deciso dal sovrano. lo spazio pubblico della città medioevale poteva scaturire come espressione organica della comunità che lo costruiva. lo spazio pubblico della città industriale era espressione di una chiara funzionalità (circolazione, svago, sosta). e oggi? negli ultimi anni si è ripetuto che la qualità architettonica si ottiene con i concorsi. valdo fusi ci dimostra che le procedure possono forse produrre architetture di qualità, ma non garantiscono che il pubblico dei cittadini vi si riconosca, le consideri espressione di una visione condivisa. e quindi chieda di rimettervi mano. come?
la procedura del concorso di architettura ha alcuni limiti intrinseci. ne evidenziamo tre: la competizione porta i concorrenti ad enfatizzare il proprio segno distintivo, la propria “cifra” stilistica, al fine di essere unici e riconoscibili; la selezione comparativa premia i progetti capaci di semplificare fortemente, di essere chiari ed essenziali; l’elaborazione di proposte compiute e formalizzate in tutti i loro diversi aspetti esclude ogni possibilità di revisione, rende delicato ogni adattamento. ci pare quindi che il concorso, nella sua forma tradizionale, non sia lo strumento adatto per ridisegnare valdo fusi, che è già stato l’esito di un concorso, e tanto meno sia adatto ad affrontare un tema complesso e delicato come il sistema degli spazi aperti del borgo nuovo.
i limiti delle procedure concorsuali correnti potrebbero essere superati attraverso un processo di costruzione di una commessa pubblica condivisa. intendiamo con questa espressione definire un percorso di lavoro partecipativo, parallelo alle necessarie indagini tecniche e storiche, che attraverso il coinvolgimento dei cittadini esplori preventivamente in una fase di ascolto del territorio bisogni, esigenze ed aspettative, ponendoli alla base di un successivo studio progettuale affidato ad architetti professionisti, con tappe di verifica pubblica intermedia e messa a punto delle soluzioni proposte. spetterebbe alla fase di ascolto definire ad esempio i contorni dell’ambito da ridisegnare, le vocazioni e gli usi possibili dei diversi spazi, le caratteristiche morfologiche desiderate. per l’individuazione degli architetti potrebbe essere utilizzata la procedura francese del marché de définition, poco nota in italia ma del tutto compatibile con la normativa nazionale. si tratta di una procedura di tipo concorsuale che viene impiegata nei casi in cui la collettività non è in grado di definire con precisione un mandato di opera pubblica (si veda http://www.localjuris.com.fr/archives/marches2001/guidemp/proced/defini.htm). essa si sviluppa di solito – anche se può essere adattata ai casi specifici - in tre fasi: inizialmente si individua, con procedura aperta e selezione sulla base del curriculum, un certo numero di gruppi professionali di livello internazionale (dell’ordine di 10). a questi viene sottoposto il risultato della fase di indagine preliminare, invitandoli a formulare una proposta sintetica di approccio al tema di progetto; sulla base delle proposte formulate si selezionano tre gruppi, che vengono incaricati di sviluppare in parallelo le loro proposte progettuali, con l’impegno a verifiche pubbliche periodiche. al termine di questa terza fase si procede alla scelta della proposta da portare in attuazione. in tutte le fasi, la scelta può essere effettuata da una giuria pubblica dei cittadini. la realizzazione del progetto prescelto può essere affidata direttamente ai professionisti che ne sono autori, o affidata agli uffici tecnici della città.
siamo fin d’ora disponibili per approfondire questa ipotesi, che ci pare possa offrire la rapidità, qualità, condivisione e trasparenza che il “caso” valdo fusi richiede, ma che crediamo anche possa costituire un utile precedente per altri luoghi ed interventi nella città.




4/7/2005 mercedes bresso
ringrazio molto per il pensiero avuto ed esprimo la mia personale simpatia per il progetto. tuttavia, il ruolo istituzionale che rivesto non mi permette di aderire a un comitato di cittadini. vi suggerisco di contattare l'assessore regionale all'urbanistica, sergio conti, per un eventuale appoggio che svincoli, in ogni caso, dall'adesione. cordiali saluti, mercedes bresso.




2/9/2005 benedetto camerana
ho letto la proposta bobbio-corsico-robiglio, nulla di nuovo (in europa) ma in italia raramente vista (a me è capitato su un concorso, peraltro felicemente vinto, per un opera non a caso da  realizzare tra italia e francia)  sicuramente la soluzione porterebbe a un buon risultato, voglio dire a un buon progetto finale, e le cose migliori sono la ricerca iniziale e la discussione del progetto giá consegnato, ma ci sono dei contro:
- tempi lunghi: tre fasi sono tante
- costi alti: c'é da pagare la ricerca pre-concorso, e i partecipanti richiedono un premio piú alto per un concorso in piú fasi
- pericoloso coinvolgere il pubblico, quando non si ha una committenza pubblica salda...non é il caso nostro???




2/11/05 giovanni torretta

Ho letto il documento del Comitato che mi avete indirizzato dopo l’ultima riunione e vi invio, anche se non immediatamente, alcune osservazioni che ritengo condivise dalla nostra Società anche se non sono state ufficialmente sottoposte ad approvazione del nostro Consiglio Direttivo. 

Nel documento non si coinvolge la commissione giudicatrice del concorso. Si tratta di commissioni composte da persone che fanno le scelte più importanti e che non vengono mai chiamate in causa per le conseguenze del loro lavoro. A lavori ultimati, a gettone di presenza incassato, i commissari scompaiono e tornano alle loro consuete attività. Le Amministrazioni che li hanno nominati si trovano a dover gestire i risultati, spesso in condizioni quasi irreparabili.

Il Valdo Fusi ha seguito una procedura corretta, con pubblicazione di tutte le fasi di selezione del progetto. I progettisti sono stati bersagliati senza tener conto che non hanno fatto altro che portare a termine la proposta che avevano avanzato e che era stata scelta. Semmai è curioso che gli Ordini non abbiano preso le difese dei progettisti. L’esecuzione rudimentale dei dettagli non è certo loro imputabile.

Stiamo parlando del Valdo Fusi ma non lascia meno perplessi il Palafukas. Almeno il V.F. è un parcheggio che funziona ma il Palafuksas non funziona come mercato, è costato il triplo del preventivato, avrà costi di gestione superiori agli incassi di coloro che dovrebbero utilizzarlo, è perlomeno discutibile come inserimento. Mi sembra che ce ne sia a sufficienza per chiedere ragione a chi lo ha scelto.

Si tratta di argomenti che sono più urgenti e comunque prioritari rispetto a quelli che sembrano preoccupare maggiormente il comitato V.F., argomenti tutti orientati a studiare le modalità di costruzione del consenso. Quasi farebbe pensare che se il consenso fosse stato curato il giudizio collettivo sul Valdo Fusi sarebbe stato diverso. E’ probabile ma avrebbe dovuto essere un giudizio orientato e non manipolato.

A me sembra prioritario occuparsi di come vengono nominati i commissari che scelgono i progetti, delle loro competenze e della attribuzione pubblica a loro dei meriti e dei demeriti delle scelte. 

In tempi lontani mi sono occupato della costruzione del consenso, o meglio, della raccolta ragionata delle aspettative e della valutazione delle possibilità del loro orientamento. Perché di questo si tratta: il consenso va costruito e soprattutto orientato. Si tratta di un lavoro lungo e molto impegnativo di maturazione reciproca e di reciproca influenza tra cultura alta e aspettativa proveniente dal mondo non disciplinare.

I mezzi di comunicazione sono interessati quasi esclusivamente agli aspetti scandalistici e pochissimo ad iniziative di lungo respiro che facciano maturare la collettività cui si rivolgono. Quindi altro argomento importante per muoversi nella direzione della costruzione di condizioni culturali non provinciali ma radicate e fondate su obiettivi condivisi e solidi, riguarda i mezzi con cui si può operare. Mostre o iniziative frequentate da marginali  cerchie di affezionati rischiano di consolidare compiacimento e giudizi elitari che incancreniscono ulteriormente il distacco tra i presunti “esperti” di settore e la più vasta collettività degli utenti. 

Da ultimo: il comitato non dice nulle sul trattamento fatto alla piazza (e ai progettisti) avendovi collocata l'incredibile baita canadese: ma dove è finita l'etica professionale, che imporrebbe delicatezza nel momento in cui si interviene sull'opera di un collega? Come si può demolire in modo tanto grossolano uno spazio pubblico, per quanto non gradito?

Se vogliamo prendere iniziative che contribuiscano a migliorare l’operare collettivo sullo spazio pubblico dobbiamo approfittare delle occasioni che si presentano per affrontare tematiche ricorrenti.

Lo stesso discorso vale anche per Piazza Vittorio e i pollai, per Piazza Castello e i cioccolatai, per Piazza Carignano e i commerci equi e solidali, per i monumenti trasformati in supporti pubblicitari e per tutte le altre attività che fanno della città una fiera permanente, dove in virtù della "temporaneità" tutto è permesso, in un continuo tentativo di rendere "eccezionale" una situazione che meriterebbe soltanto di essere semplicemente normale, con un arredo adeguato, il verde curato, le automobili parcheggiate, i tram che passano e si fermano, i negozi, i caffè e le persone etc. etc…

Quando si parlava della necessità che la città venisse riappropriata dagli abitanti più deboli e resa più disponibile si intendeva un’altra cosa.

Quest’ultima osservazione potrà sembrarvi fatta da un anziano disilluso, invece è stata suggerita da uno dei nostri consiglieri più giovani.




21/12/05 andrea miglietta
Gentilissimi signori, faccio seguito ai messaggi ricevuti e vi trasmetto il contributo promesso. E' una goccia nel mare, ma speriamo che tutto serva, poiché la situazione
attuale del piazzale è veramente un'offesa alla memoria della persona di cui porta il nome. Ho cercato di essere positivo, ma non è facile, vedendo che, al momento e per chissà quanto, mettiamo in mostra, a spese dei contribuenti, le sterpaglie più costose al mondo. Con stima, Andrea Miglietta


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