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Commenti
ricevuti dal Comitato Valdo Fusi
19/5/2005 marta fusi
20/5/2005 donatella
d'angelo
20/5/2005 francesca
referza
20/5/2005 giovanni
torretta
20/5/2005
franco corsico
23/5/2005
giambattista quirico
3/6/2005
enrico salza
4/6/2005
tom muirhead
9/6/2005
enrico bettini
26/6/2005
luigi bobbio, franco corsico, matteo robiglio
4/7/2005
mercedes bresso
2/9/2005 benedetto camerana
2/11/2005 giovanni torretta
21/12/2005
andrea miglietta
19/5/2005 marta fusi
valdo fusi nacque a pavia il 9 maggio 1911, da antica, operosa
famiglia pavese, e morì all’ improvviso ad isola d’asti
il 2 luglio 1975, nella casa della moglie. frequentò i primi due
anni del liceo a pavia. il terzo anno lo completò a torino, dove
il padre si era trasferito per lavoro. enrica malcovati, sua docente
liceale, ricorda valdo così: "vivo è in me il ricordo del giovinetto
studente di liceo altissimo, bellissimo, vivacissimo: intelligente,esuberante;
sprizzava gioia di vivere, attirava l’attenzione e la simpatia
dei compagni tra i quali godeva di un certo prestigio. non brillava
nello studio, sicchè dovette riparare a ottobre il greco". a torino,
fusi concluse l’ultimo anno della scuola superiore presso
il liceo "massimo d’azeglio". cristiano convinto e coraggioso,
si iscrisse al circolo della gioventù cattolica intitolato a severino
boezio e fece parte del consiglio direttivo della fuci ( federazione
universitaria cattolici italiani). nel maggio del 1931 il circolo
venne chiuso per ordine del governo fascista. un decreto prefettizio
dichiarava sciolte tutte le associazioni giovanili di qualsiasi
natura che non facessero capo alle organizzazioni del partito
nazionale fascista e all’opera nazionale balilla. fusi è
il solo presente in sede al momento dell’incursione dei
funzionari della polizia, che pongono sotto sequestro gli arredi
del locale e portano via la bandiera del circolo. nel biennio
1933-1934, valdo scrisse due operette musicali, che un gruppetto
di giovani e volenterosi orecchianti recitavano e cantavano al
teatrino del duomo. si trattava di scherzose canzonature dei personaggi
più noti del mondo cattolico torinese. i titoli, di rassenerante
umorismo, erano "fòmmse coragi" e "yukkaidy". il 26 novembre 1934,
fusi si laureò in giurisprudenza presso la regia università di
torino a pieni voti con lode. prestò poi servizio militare con
il grado di sottotenente del primo reggimento granatieri di sardegna.
crollato il fascismo il 25 luglio 1943, si impegnò nella fondazione
del partito della democrazia cristiana. dopo l’8 settembre,
partecipò subito alla lotta contro il nazifascismo. membro del
comando militare del comitato piemontese di liberazione nazionale,
fu arrestato nel duomo di torino con tutti gli altri componenti
del gruppo direttivo clandestino. mussolini volle che questi ribelli
fossero processati all’istante. il "processo di torino"
fu uno dei gesti più repressivi per arginare il dilagante movimento
di liberazione in alta italia. il 3 aprile 1944, dopo brevissima
istruttoria, il processo si concluse con la condanna a morte di
balbis, bevilacqua, biglieri, braccini, giachino, giambone, montano
e perotti. la fucilazione alla schiena ebbe luogo al poligono
di tiro del martinetto, alle prime ore del 5 aprile 1944.Tutti
i patrioti gridano: "viva l’italia libera!". fusi, assolto
per insufficienza di prove, scrisse in seguito fiori rossi al
martinetto. la delicata sensibilità dell’autore, la sua
fine ironia, la sua partecipazione nutrita di amore e di pietà
fanno di questo racconto – testimonianza un libro di poesia,
un limpido e commosso omaggio alla nobiltà d’animo di uomini,
fatti per la pace, che seppero affrontare la morte con serenità
per un istintivo senso del dovere. consigliere comunale per cinque
anni, riuscì eletto al parlamento nella prima legislatura dal
1948 al 1953. nel quinquennio successivo ebbe impegni di peso
come consigliere provinciale. presidente dell’ente provinciale
per il turismo, a titolo gratuito, all’incirca dal 1960
al 1963, promosse spettacoli teatrali che ebbero l’apprezzamento
del mondo artistico nazionale ed europeo . cessato questo incarico,
ottenne la presidenza dell’ ordine mauriziano dal 1964 al
1970, volutamente non retribuita. avvalendosi della sua perizia
giuridica, riordinò ed accrebbe il patrimonio dell’antica
istituzione sabauda, migliorando così l’ assistenza sanitaria
erogata dall’ospedale umberto I. nel 1965, la "famija turineisa"
lo proclama "cittadino dell’anno". pavia lo rivendicò come
suo cittadino e, nel dicembre 1973, lo onorò con una onorificenza
schiettamente pavese: la medaglia d’oro di San Siro, il
patrono della città, con il relativo diploma di benemerenza ed
una motivazione sobria : "cattolico, penalista di alta qualità,
deputato al parlamento, partigiano valoroso, ha descritto le sue
vicissitudini in un volume assai noto: "fiori rossi al martinetto"
in cui rifulgono sentimenti di alta fraternità umana, assunti
come codici di vita". nel 1974 , il consiglio comunale di torino
lo nomina "cittadino onorario". viene insignito della più alta
onorificenza italiana, quella di cavaliere di gran croce dell’
ordine al merito della repubblica italiana. negli ultimi anni,
stava lavorando ad una nuova operatorino un po’ che sebbene
fosse ultimata, non ebbe la gioia di pubblicare. un libro ormai
caro ai torinesi. una corsa affascinante, che mescola ricordi
storici, erudizione artistica, emozioni estetiche e suggestioni
segrete della città antica e di quella attuale. nel 1977, il sindaco
comunista di torino, diego novelli, con procedura straordinaria
a soli due anni della morte, volle intitolare al suo nome con
importante piazzale, quello dove sorgeva l’antico politecnico
distrutto da un bombardamento: fusi aveva proprio difeso quella
vasta spianata dalla profanazione con nuovi moderni fabbricati.
quattro vie vi sboccano: via san francesco da paola, via giolitti,
via dell’accademia albertina e via cavour. ai quattro angoli
della piazza, sbocco delle quattro vie, su quattro targhe di bronzo
è stato scritto il nome valdo fusi, scrittore.
20/5/2005 donatella d'angelo
mi si chiede un ricordo, una testimonianza su valdo fusi e subito
mi vengono in mente due momenti. uno più privato, quando veniva
a trovare mio papà ed ero ragazzina; so che parlavano di problemi
legati alla giustizia ed entrambi poi facevano parte d'una associazione.
non ero molto interessata ai loro discorsi ma - come fosse oggi
- mi affiora l'immagine d'un signore alto, allampanato dai modi
cortesi ma asciutti, poco incline al sorriso ma diretto e concreto.
più avanti nel tempo, mi invitò ad entrare in italia nostra; non
seguii subito quel suggerimento, ma solo dopo qualche anno ci ritrovammo
io consigliere della sezione cittadina, lui vicepresidente e poi
presidente. ricordo le sedute, i lunghi consigli informali ma produttivi,
senza retorica e verbali, ma efficaci e propositivi, tesi ad azioni
dirette e mirate all'interesse della città. chissà perché lo ricordo
allungato quasi disteso su una di quelle sedie sgangherate della
sezione a lanciare invettive contro il degrado delle dimore sabaude,i
casermoni dei palazzinari torinesi, l'inarrestabile declino dei
palazzi storici del centro. non alzava mai la voce,ma aveva un tono
amaro, sarcastico, il suo viso si trasformava, quasi ne veniva una
smorfia quando gli si denunciava uno sfregio alla "sua" città. valdo
fusi non era un "simpatico" e non voleva esserlo, per questo era
un grande e lo stimavo; ho sempre avuto simpatia (mi si passi il
gioco di parole) per gli "antipatici" perché avendo un brutto carattere
hanno un carattere e non sono quindi inclini al sì, all'ossequio
al potere al conformismo. valdo fusi era come antonio cederna, come
giorgio bassani come augusto cavallari murat (ah, se avessi registrato
le sue lunghissime telefonate - vere e proprie lezioni di storia!!),
erano tutti "uomini contro" che non ammiccavano, non cercano il
consenso, la simpatia non avevano il sorriso stampato a 36 denti,sapevano
indignarsi ed inveire contro il pressapochismo, la superficialità,
il malaffare... valdo fusi era uno di questi "sublimi antipatici"
che con una battuta fulminava gli idioti e... me l'immagino adesso
come avrebbe reagito davanti a tanta scempiaggine, alle lacrime
di coccodrillo di tanti, all'inerzia di molti, all'ipocrisia di
alcuni ed alla vera sincera indignazione di pochi. non consentiamo
per lo meno di lasciare il suo nome a fronte d'una infamia che avrebbe
con veemenza e coraggio combattuto... ma no forse è l'ironia della
sorte che ha voluto per l'ultima volta dal cielo farlo arrabbiare
per ricordarcelo così sempre sublimamente antipatico, combattivo
e unico.
donatella d'angelo (già presidente della sezione di torino di italia
nostra)
20/5/2005 francesca referza
mi occupo di arte contemporanea con una particolare attenzione
a ciò che accade nello spazio pubblico. quella offerta dal comitato
valdo fusi sembra in effetti una bella occasione per ripensare
e ridisegnare, per usare un termine rinascimentale, porzioni
di tessuto urbano, in un'ottica finalmente non episodica e,
per la prima volta in italia per quanto riguarda l'architettura,
partecipata, parola magica ormai di moda tra molti addetti ai
lavori del settore. e' appunto in questa importante occasione
offerta alla città di torino dal gruppo del comitato valdo fusi
che sarebbe interessante applicare un principio spesso disatteso,
cioè quello della progettazione parallela e coordinata di architettura
ed arte. troppo spesso infatti in una progettazione urbanistica
ed architettonica che si trovi al grado zero, all'arte viene
assegnato un odioso quanto umiliante ruolo decorativo - ornamentale
e comunque di nicchia ( e quindi piuttosto posticcio rispetto
al contesto in cui viene inserito), quando non accade, in situazioni
urbane preesistenti, che all'arte e all'artista si chieda una
onerosa quanto improbabile funzione riparatoria di precedenti
danni architettonici attribuendo così alla singola opera una
sorta di potere consolatorio, estetico e sociale, che spessissimo,
peraltro, non è in grado di esercitare. ora ci si domanda se
questa situazione sia conseguenza di una sorta di snobismo di
una disciplina ( termine riduttivo me ne rendo conto, ma non
me ne vengono altri al momento), l'architettura, nei confronti
di un'altra, l'arte, o se sia l'effetto di una carenza legislativa
che non pone vincoli ( ma nemmeno impone regole procedurali
) di nessun tipo sull'argomento ( eccezion fatta per la problematica
legge del duepercento ), confidando così totalmente sulla lungimiranza
dei committenti. d'altro canto, tuttavia, una certa doverosa
prudenza nei confronti dell'arte va assolutamente esercitata
dal momento che, ormai dagli anni novanta, dilaga un certo sommario
interesse per gli interventi pubblici, sia da parte di una committenza
spesso smaniosa di esibirsi, sia da parte degli artisti, incondizionatamente
disposti ad improvvisarsi attori dello spazio pubblico. con
questa ultima affermazione, presa in prestito da enrico crispolti,
non intendo ovviamente giustificare un eventuale snobismo dell'architettura
sull'arte, ma nemmeno farmi paladina dell'arte pubblica in genere.
sono, pertanto, convinta che quella offerta dal comitato valdo
fusi debba considerarsi una imperdibile occasione per riscattare,
nel campo della progettazione urbanistica, errori commessi altrove
dall'una e dall'altra parte.
20/5/2005 giovanni torretta
si allega lettera spedita alla stampa dalla societa' degli ingegneri
e degli architetti in torino, c.so massimo d'azeglio 42, in
data 27 ottobre 2004
egregio direttore,
il dibattito esploso sulle pagine de "la stampa" a proposito
di quanto sta accadendo sulla spina e sul "valdo fusi" ci lascia
perplessi per il poco risultato che promette. nei prossimi anni
appariranno le opere delle olimpiadi, si inaugurerà la metropolitana,
si continuerà a completare la spina. se la città non prenderà
queste occasioni per migliorare la capacità collettiva di giudizio
difficilmente potrà aspirare al ruolo europeo che spesso si
attribuisce. uno confronto a base di insulti, corredato da solidarietà
su barricate, non può aiutare a costruire nulla. un confronto
sul "bello" è un accademico discutere sul sesso degli angeli.
se il "valdo fusi" (nome che ai più anziani ricorda stili e
comportamenti che sembrano lontani di secoli) non trova il gradimento
della città, occorre cercare di capire perché. perché non funziona
il tentativo di ricostruire il perimetro dell'isolato e di trattare
l'invaso interno come un catino verde con un piccolo edificio
nel centro, di proporre una sorta di giardino protetto rispetto
al traffico circostante. cos'è che genera rifiuto? sono forse
i muri che fanno il verso caricaturale a quelli del vecchio
s. giovanni, oppure l'eccessivo spazio delle rampe di accesso
che danno l'aspetto di grande stazione di servizio o ancora
la modestia dell'edificio centrale ? in buona sostanza il "modo"
con cui è stato attuato il progetto? oppure è l'idea di progetto,
con volumi troppo frazionati, fuori scala rispetto alla compattezza
degli edifici circostanti, schema progettuale che non riesce
ad entrare in dialogo con la città che lo circonda, che non
riesce a proporre una sufficiente amenità dello spazio nuovo
in alternativa alla ricostruzione dura di un isolato rimasto
inesplicabilmente vuoto dopo le demolizioni belliche oppure
ancora è l'idea stessa di distruggere l'alberata che ormai aveva
preso corpo nel nostro immaginario, alberata che si era ormai
resa insostituibile, soprattutto se eliminata per fare spazio
a pochi parcheggi in più rispetto a quelli che ospitava? la
sommaria analisi potrebbe continuare ma è evidente che può chiamare
in causa, secondo il livello in cui la carenza si rivela maggiore,
i progettisti, per le modalità di sviluppo dell'idea iniziale,
o la commissione di concorso (é proprio vero: il progetto fu
affidato con un concorso pubblico a scala europea!) per l'incapacità
di valutare le gerarchie degli spazi urbani, o la amministrazione
comunale, per la decisione di sostituire l'alberata con un modesto
parcheggio interrato.
ma tra le cose viste e lette su "la stampa" negli ultimi giorni,
l'accento più sconcertante ed in un certo senso divertente per
il sarcasmo che può suscitare sta in quell'immagine dell'amico
cagnardi che con il dito indica con scandalo gli edifici che
stanno nascendo sulla spina. secondo lui, sono brutti ma non
dice perché. sono edifici carenati da quel jean nouvel che ha
firmato alcuni degli interventi più prestigiosi nati negli ultimi
anni in europa. il nostro enigmatico francese non ha mai brillato
per attenzioni particolari alle cose/case in mezzo alle quali
ha inserito i suoi interventi, basti ricordare la sede del festival
musicale di lucerna, ma la sua maestria nel trattare l'edificio
è fuori discussione, e anche quello indicato con il dito di
cagnardi rivela un certo garbo, insolito rispetto alla produzione
corrente di torino. ci spieghi cagnardi cos'è che non va. non
sarà forse la sorpresa per la mal calcolata dimensione degli
interventi nuovi del suo piano regolatore? ricordiamo che quel
piano è tutto orientato a costruire sulla spina alcuni nuclei
di riferimento di classica presenza (il politecnico, il palazzo
della regione, i due edifici alti all'incrocio tra spina e c.so
vittorio) come tante volte ci è stato illustrato con plastici
e vedute. monumenti che avrebbero dovuto scandire il grande
nuovo viane nord-sud. ma se queste presenze sono affogabili
all'interno di ambiti urbani in cui con ogni sforzo, persino
reinserendo il trasferimento di cubatura, si consente una concentrazione
di edificato molto alta, le gerarchie saltano. la parte di città
che dovrebbe fare da struttura omogenea e di corredo rispetto
ai pochi edifici emergenti prende il sopravvento e annulla ogni
rapporto gerarchico. la concentrazione non è avvenuta per caso
ma è il frutto delle previsioni di piano che volevano creare
condizioni economiche appetibili ed invitanti per gli imprenditori
che si fossero avventurati nelle realizzazioni, insomma è il
risultato di un "sano" realismo progettuale. e allora perché
stupirsi?
tutto ciò rimanendo all'interno della logica del piano regolatore,
anche se si tratta di un piano che ha fatto nascere non poche
perplessità per il carattere poco dialogante con la splendida
struttura storica della nostra città che è portata ad esempio
in ogni manuale di urbanistica.
caro direttore, la nostra società da sempre (siamo stati fondati
nel 1866) segue con attenzione ed ha pubblicato sulla propria
rivista i principali atti destinati ad incidere sulla città.
ritiene che quanto sta accadendo sia di grande importanza per
il futuro del nostro vivere urbano. su questi argomenti sarebbe
di grande utilità stimolare dibattiti più approfonditi che consentano
confronti e aiutino a maturare la comunità. perché non dedicare
per un po' di tempo una colonna del giornale per dare uno spazio
più sereno e soprattutto più ragionato al confronto tra progettisti,
imprenditori, amministratori e critici. forse così si potrebbe
contribuire meglio alla crescita collettiva. basta guardare
oltre confine per rendersi conto di quanto ne abbiamo bisogno.
"aspettare" che le cose siano finite per discuterne può essere
una buona e prudente politica ma avviene quando ormai tutto
è realizzato e, se non condiviso, accettato con una certa rassegnazione.
il ferro va battuto fin che è caldo.
a disposizione per eventuali suggerimenti la saluto con molta
cordialità.
il presidente della società, architetto giovanni torretta
20/5/2005 franco corsico
ti ringrazio della comunicazione-invito relativo all'iniziativa
per sviluppare azioni di dibattito e confronto allargato sui
temi della qualità urbana negli interventi a torino. aderisco
all'iniziativa confidando che lo sforzo comune sia proprio quello
di effettuare valutazioni serene. attrezzarsi per migliorare
la nostra capacità di intervento è assolutamente necessario,
a questo possono anche contribuire le riflessioni sui limiti
dei risultati di ciò che si è realizzato o si sta realizzando
purché lo sforzo sia positivamente e responsabilmente rivolto
a trovare soluzioni condivise e dotate di "saggia prudenza".
in questo spirito non farò mancare il mio modesto apporto e
ancora ti ringrazio per aver voluto interpellarmi. a causa di
precedenti impegni oggi non potrò purtroppo essere presente
ma rimango comunque a disposizione
un cordiale saluto
franco corsico
23/5/2005 giambattista
quirico
ho compreso la sua inziativa e la sua proposta. devo però dirle
che il mio ruolo ricoperto nell'istituzine mi impedisce di aderire
al comitato. cordialmente, giambattista quirico
3/6/2005 enrico salza
oggetto: richiesta di adesione al comitato valdo fusi.
ringrazio ma non posso aderire. in qualità di presidente della
banca san paolo imi oggi e presidente della locale camera di
commercio ieri, il più elementare rispetto della deontologia
professionale non mi consente di fare altrimenti. nella nostra
città, evidenti responsabilità istituzionali mi obbligano, come
cittadino e come imprenditore, ad essere rispettoso delle scelte
che l'amministrazione comunale ha assunto o comunque vorrà assumere
un domani.
peraltro so di aver già dato, a suo tempo, insieme ai miei collaboratori
un serio contributo. molti anni fa, nel 1990, nelle vesti di
presidente della camera di commercio di torino, promossi la
costituzione di una società a maggioranza pubblica (50% camera,
25% automobile club, 25% privati) per la realizzazione di un
parcheggio e relativa sistemazione della piazza con tanto di
concorso per la progettazione e pubblicazione di tutti i progetti,
che furono presentati ufficialmente e trasmessi all'assessore
competente, assieme ai relativi studi sulla viabilità intorno
al piazzale (all.1).
leggendo poi lo statuto, all'art.12 si afferma che "al 31 dicembre
2006, qualora non sia stato conseguito lo scopo del comitato"
esso stesso si scioglierà, mi domando: non c'è un eccesso di
presunzione? quando a parigi furono costruiti il beaubourg o
la piramide di vetro al louvre, furono tutte positive le relazioni
dei parigini? certamente no, ogni testa un'idea diversa, però
parigi è cresciuta anche tramite queste "provocazioni". credo
sarebbe cosa saggia, al di là delle meditazioni del comitato,
darsi un tempo almeno triennale, forse quello che oggi non piace,
tra tre anni sarà apprezzato in modo diverso. vedo con piacere
che l'art. 6, punto 3, dello statuto recita che "i componenti
del comitato ed il presidente prestano la loro attività e ogni
collaborazione a titolo gratuito". avrei personalmente aggiunto
che nessun componente accetterà, ancorché richiesto, di essere
progettista di eventuali modifiche che il comitato stesso suggerisse.
con i migliori auguri di buon lavoro, enrico salza
4/6/2005 tom muirhead
torino è una delle più belle città del mondo, soprattutto per
il rigore del suo impianto urbanistico, una maglia complessa
di cui ogni rigo ha il suo valore particolare. entro questa
maglia si aprono degli spazi pubblici, quadrati o rettangolari,
e che fanno parte dell'insieme. io ogni tanto vengo da londra,
altra città di 'squares' settecentesche, per cercare ispirazione.
ma ora, a piazza valdo fusi, ho trovato una preoccupante caduta
del vostro buon gusto e del vostro leggendario garbo. nella
nuova sistemazione, tutto quello che poteva andare male, mi
pare sia andato male. le nuove costruzioni ai lati della piazza
hanno alterato il rapporto tra cortina edilizia e spazio aperto.
dietro a questi nuovi orrendi edifici, troviamo una sorta di
vivaio di piante e un campionario di materiali di pavimentazione
tra i più svariati, posati malissimo e senza professionalità.
al centro, un padiglione che sembra uscito da un libro per bambini.
a me questa piazza sembra un disastro urbanistico, concepito
da qualcuno che non solo non sa nulla di colori, materiali,
spazi, rapporti tra il verticale e l'orizzontale, e tante altre
cose, ma che dentro di sé è molto infelice. mi è venuta voglia
di andare via e di non vederla più. in un mondo sempre più votato
alla volgarità, mi sembrerebbe auspicabile che torino difendesse
la propria reputazione, restituendo a questa piazza un disegno
sobrio, contenuto, e sopratutto semplice. prima che altri si
offendano.
9/6/2005 enrico bettini
ora che è sorto anche un "comitato valdo fusi" per la
riprogettazione del parcheggio interrato (e non solo) può essere
utile puntualizzare i vari argomenti che la costruzione di quel
parcheggio inevitabilmente ha sollevato e solleva.
1) sull'opportunità di costruirlo pesa una decisione politica
che ha dato -di fatto- la stura alla costruzione di altri parcheggi
sotto le piazze storiche del centro di torino, anche quelle
che nessuno pensava potessero essere profanate. di fronte alla
levata di scudi contro i parcheggi di piazza vittorio e piazza
s. carlo da parte di tante persone colte ed informate -nonché
ex amministratori- non si dimentichi questa responsabilità non
trasferibile ad altri.
2) sulla regolarità del concorso non c'è proprio nulla da obiettare.
e' stato bandito un concorso nazionale, è stata costituita una
commissione giudicatrice, è stato nominato il suo presidente,
sono stati selezionati i progetti considerati migliori , è stato
scelto il progetto vincente e affidato l'incarico di realizzazione
ai suoi progettisti. i lavori dei concorrenti sono anche stati
esposti alla cittadinanza (la quale, dall'impianto del cantiere
e quindi per anni, ha potuto ammirare il rendering dell'opera
finita).
3) una prima annotazione da fare è quella dell'importanza decisiva
che ha la formulazione del bando di ogni concorso perché esso
contiene gli obiettivi dell'intervento e la destinazione d'uso
del suolo pubblico. il bando prescriveva la progettazione di
un parcheggio interrrato di due piani e la sistemazione a verde
della quasi totalità della sua superficie. pertanto, se si vuol
incidere sul processo che conduce a determinati risultati occorrerebbe
riconsiderare tutte le sue fasi, non escludendo certo la prima
(il bando foriero di obiettivi e scelte di livello strategico)
che è decisiva di tutto lo sviluppo successivo.
4) una seconda annotazione riguarda, ovviamente, la commissione
giudicatrice ed il presidente della stessa. sono loro che hanno
scelto e selezionato, sono loro che hanno giudicato 'migliore'
il progetto che adesso è realtà. hanno quindi precise responsabilità:
chi ha indicato, scelto e nominato i membri della commissione,
chi ha designato il presidente, i commissari ed il presidente
stessi. anche tali indifferibili responsabilità non possono
non essere evidenziate se si vogliono evitare esiti del genere.
se è evidente (ed è evidente, non può esserci dubbio) che si
è trattato, per talune responsabilità, di leggerezza nelle nomine
e, per altre responsabilità, di autentica incompetenza, occorre
tutelarsene correggendo il modo di gestire queste fasi da parte
della 'macchina comunale' e operando la cancellazione di certa
'nomenklatura' (spesso universitaria) dalla composizione delle
commissioni dei concorsi così come di quella di funzionari interni
all'amministrazione dimostratisi non all'altezza del compito,
per quanto alto sia il loro grado nella gerarchia comunale.
5) nell'abbondante dibattito registratosi con l'approssimarsi
della fine dei lavori si è verificato più di un intervento che
ha messo in luce come esistesse un preciso orientamento teorico
nel simulare la prospettiva delle vie a cortina circostanti
tramite le tanto contestate paratie murarie agli angoli del
piazzale cui sarebbe stata delegata la resa di un'analoga prospettiva
'a cannocchiale'.
6) se questa era l'idea, meglio sarebbe stato, pensare alla
riedificazione dell'intero isolato (con sottostante autorimessa
se proprio la si voleva) piuttosto che persistere con l'immagine
di un vuoto che poi si è materializzato sul modello di uno stagno
prosciugato. Dunque, sono innegabili anche le responsabilità
di tipo culturale di cosiddetti esperti appartenenti alla nostra
categoria (di architetti e urbanisti) alla quale la pubblica
amministrazione spesso non può che affidarsi, per il proprio
orientamento, per delega di competenza.
7) il discorso della responsabilità di tipo culturale apre inevitabilmente
quello della formazione degli architetti che sta vivendo una
fase molto critica, se si vuol esser generosi. Uno degli aspetti
sconcertanti è che, se si esce dall'ambito del restauro, è legittimo
non saper nulla della storia dell'architettura e tantomeno dell'arte
in generale. Come si può, in queste condizioni, chiedere che
i progettisti abbiano la preparazione e la sensibilità necessarie
ad intervenire in contesti storici dove hanno operato, guarini,
castellamente, b.alfieri, ecc. ecc. ?
si possono trarre delle conclusioni.
la prima è che la preesistenza del vuoto, di quel vuoto, ha
influenzato non solo la gente comune ma gli stessi cultori della
materia urbanistica: quel piazzale dovuto alla sparizione di
un isolato e poi diventato, per anni, parcheggio 'a raso', ha
indotto a pensare alla stessa destinazione (parcheggio, anche
se nel sottosuolo) come se fosse una destinazione d'uso scontata,
col risultato che sopra di esso sono state escluse sia la realizzazione
di un bel vuoto (una vera piazza) sia un pregevole pieno (la
ricostruzione dell'isolato). siamo quasi costretti a seguire
il furor di popolo e la sua definizione di brutto di quanto
è stato fatto e a non domandarci se, anziché il parcheggio,
non fosse preferibile prefissarsi l'obiettivo di trasformare
lo squallido spiazzo in una bella piazza oppure quello di abbandonare
il vuoto a favore di un'architettura aulica, degna della torino
sei-ottocentesca. non saremmo arrivati alla mostruosità attuale
e si sarebbe evitato di inaugurare il programma dei parcheggi
pubblici in pieno centro storico.
ma, così come è stato ed è tuttora per il cosiddetto palazzaccio
di mario passanti in piazza del duomo, la semplicità e normalità
popolari se non altro colgono la profonda incoerenza dell'insieme,
soprattutto quando si realizzano opere che intendono sistemare
definitivamete un luogo rimasto in stato di precarietà per decenni.
se poteva essere tollerato un parcheggio provvisorio fatto di
righe per terra e qualche alberello, non si può tollerare un'opera
monumentale di grande trasformazione dell'area e per sempre.
nel centro storico (non solo) si scontano le enormi difficoltà
e maggiori scempi in fatto di inserimento ambientale. da questo
punto di vista, l'arena con i suoi pendii verdeggianti, questo
catino o culla con al centro una casetta ha effettivamente dell'incredibile.
c'è da dire , però che gli autori non hanno avuto, almeno in
quel contesto, il conforto di validi esempi da parte dei grandi
maestri dell'architettura torinese.
a costo di apparire blasfemo e, nel caso di carlo mollino, irrispettoso
della sua memoria ( nella ricorrenza del centenario della sua
nascita) non si può dire che la nuova borsa di gabetti, raineri,
isola e la camera di commercio di mollino, siano da prendere
a modello quanto a corretto inserimento e felice soluzione d'insieme.
sono entrambe opere interessanti per molte soluzioni strutturali,
tecniche e componentistiche ma hanno poco a che vedere con la
salvaguardia della coerenza e la ricerca di armonizzazione con
la volumetria ed il tessuto dell'ambiente di tutto l'intorno.
nel primo caso i cosiddetti 'cappelli da monaca' risolvono una
copertura che tende ad annullare il suo peso staccandosi quasi
dagli appoggi su poderosi pilastri sfaccettati, annegati in
un pesante basamento reso ancor più massiccio dal ricorso al
bugnato in pietra scura. nell'altro caso abbiamo un edificio
in ferro e vetro, modernissimo all'epoca, con un volume che
abbandona qualsiasi rapporto con la volumetria degli edifici
degli altri tre lati del piazzale proponendo un imperioso corpo
stondato che si proietta a sbalzo sul piazzale medesimo. entrambi
hanno evidentemente scelto la linea del cambiamento nella rottura
(come sarà poi per la stragrande maggioranza degli interventi
dell'architettura moderna), hanno scelto cioè un registro che
nulla ha a che vedere con quelli che hanno prodotto la "..metamorfosi
nella continuità..", tipici delle innovazioni del passato.
insomma, piazzale valdo fusi è stato e continua ad essere -di
fatto- un laboratorio di interventi che hanno dovuto affrontare
problematiche fondamentali dell'architettura e dell'urbanistica:
il recupero/riuso in un tessuto storico; la riedificazione o
no di interi stabili e isolati nello stesso tessuto; l'inserimento
del nuovo nel 'vecchio'; la rifunzionalizzazione di aree dequalificate;
il tema della piazza, della sua preziosità (e, aggiungo io,
dell'incapacità a realizzarle in epoca moderna); l'opportunità,
o meno, della costruzione dei parcheggi sotto le piazze della
zona centrale delle grandi città; il tema della continuità-discontinuità,
della armoniosa coerenza o del deciso contrasto tra i nobili
edifici (cortine di edifici) del passato e quelli di nuova costruzione.
pertanto, i progettisti del parcheggio finiscono con l'essere
l'ultimo anello di una catena di errori che purtroppo appartengono
alla storia dell'architettura (e della cultura) moderna torinese.
i progettisti del parcheggio sono autori certamete di una mostruosità
e quindi appartengono a pieno titolo a quella catena e, per
loro sfortuna, non possono contare nemmeno sulla fama dei loro
nomi. Una cosa si può rimproverare agli osteggiatori del parcheggio:
l'essersi indignati solo all'apparire della sua abominevole
forma e non già alla decisione -peggio che abominevole- di farlo
esistere come tale per sempre.
concludo con un augurio: che il furore contro il 'valdo fusi'
sia l'inizio di un programma più vasto che comprenda tutti gli
interventi che stanno ultimamente costellando di mostruosità
torino. possibile che nessuna voce si levi contro quel magnifico
esempio di disprezzo del rapporto con l'ambiente circostante
che è l'intervento di fuksas a porta palazzo? e sul nuovo ponte
-espressione di mirabile legame della carpenteria metallica
con il vecchio borgo dell'arsenale e le sponde della dora- alle
spalle sempre di porta palazzo, non c'è nulla da dire? eccetera.
eccetera.
nota al 'comitato valdo fusi'
e' stato giustamente detto, anche in sede vostra, dell'importanza
del bando dei concorsi e che, certamente, è il momento e fase
in cui più e meglio può esercitarsi il controllo di tipo popolare.
l'obiettivo del parcheggio pubblico, contenuto nel bando, non
è mai stato oggetto di consultazione popolare. perché non proporsi
di verificare ora tale obiettivo? perché, se si vuol percorrere
la via del confronto con gli utenti, non si pongono ad essi
le vere alternative: parcheggio pubblico / piazza / ricostruzione
dell'isolato e verificare, con le seconde due, la coerenza con
la scelta del parcheggio pubblico o di quella del parcheggio
solo pertinenziale?
il bando dovrebbe (doveva) discendere da queste verifiche avendo
ben cura di chiarire tutte le connessioni che ogni scelta trascina
con sé, così come i fatti hanno poi incontestabilmente dimostrato.
per esempio, il parcheggio sotto il 'valdo fusi' è l'inizio
di un programma di parcheggi in pieno centro: non può e non
poteva essere considerato un fatto isolato, in quanto o si fa
la scelta di inibilre l'auto di transito per il centro scoraggiandone
in tutti i modi l'impiego o si fa quella opposta di permetterne
l'ingresso e l'attraversamento col che non basta certo un parcheggio
e nemmeno due.
ma per far questo occorre chiarire in modo completo i programmi
di trasformazione urbana secondo una visione complessiva da
non tralasciare mai (anche e soprattutto per questo si fanno
i prg). si scoprirebbe allora che fare il parcheggio pubblico
sotto il 'Valdo Fusi' risponde ad una visione dell'immediato,
miope, e non risolve alcun problema; che non basteranno quelli
di piazza s. carlo e piazza vittorio; che la pedonalizzazione
del centro storico non può procedere a un marciapiede qui ed
un pezzo di via là ma che vanno semmai accelerati i programmi
di estensione delle linee di metropolitana, di strade sotterranee,
di linee superficiali tipo "star", di taxi collettivi, ecc.
ecc.
nei programmi con una visione complessiva rientra naturalmente
l'articolazione delle pause interne all'abitato (piazze ed aree
verdi) in particolare quelle del centro cittadino. ma qualsiasi
intervento su di esse non può prescindere dal loro grado di
vivibilità che è strettamente conseguente alla decisioni sulla
viabilità attorno (ed anche interne) ad esse.
pertanto, il legame -ampiamente condivisibile- tra aree verdi
interne al fitto abitato è in netto contrasto ed antitetica
con la destinazione di una o più di esse ad autorimessa pubblica.
suggestiva è l'idea della connessione soprattutto tra le aree
di piazzale valdo fusi, aiuola balbo e giardini cavour (perché
escludere questi ultimi?), intrecciate e lambite con piste ciclabili
(in progetto) ma risulterebbe impraticabile se si continua ad
utilizzare il loro sottosuolo per attrarre le auto di tutti
i cittadini che vogliono venire in centro.
pa revisione di quanto è successo in piazzale valdo fusi deve
partire dai questi presupposti se non vuol limitarsi ad una
ritoccata soloesteriore (anche se non da sottovalutare) e mandare
un segnale simbolicamente forte già sul piano delle scelte a
monte, non solo delle scelte tra una forma o un'altra da dare
ad una decisione comunque sbagliata.
per quanto riguarda quest'ultima, infine, occorre rifuggire
da semplificazioni (che sono già circolate, quali la proposta
di riempire tutta la 'conca' di terra e fare una piazza 'a bastione',
col risultato di tagliare la visione dei palazzi circostanti
da tutte e quattro le vie) che, ripeto, farebbero rimpiangere
ancor più le opzioni della piazza e dell'edificato ma questa
volta con l'approvazione dei residenti.
la qualità degli interventi non può che discendere dalla ripresa
della ricerca di equilibrio, armonia, coerenza e scrupoloso
rapporto con l'ambiente in cui gli interventi si collocano.
altrimenti, come purtroppo è ormai norma per tanta architettura
moderna, sono al di fuori del luogo e della storia. occorre
riproporre registri di linguaggio che fungano da riferimento
per i progettisti così da garantire linee essenziali di continuità
e di omogeneità che non hanno mai impedito o ostacolato la genialità
delle soluzioni.
si sconta questa assenza, questo vuoto già nelle norme dei prg
e ancor più nel funzionamento delle commissioni edilizie ed
anche, inevitabilmente, nelle valutazioni concorsuali. per colmare
questa assenza non ci si può limitare ad operazioni di 'lifting'
di uno o di tre spazi aperti. e non basta che un concorso sia
internazionale per dare garanzie assolute. ma al concorso (di
idee, beninteso, che è uno degli obiettivi della nostra associazione)
non c'è alternativa. conta, innanzitutto, chiarire bene a fondo
le alternative tra gli obiettivi di sviluppo del modo di vivere
e quindi imporre che si abbiano tutte le informazioni utili
per questo.
la città che ripensa se stessa: questo dovrebbe essere il messaggio
forte che, come dalla nostra associazione, dovrebbe emergere
dalla indubbiamente bella iniziativa vostra ma che non deve
andar sprecata. la peculiarità del 'comitato valdo fusi' credo
stia in gran parte nel testimoniare che si sta toccando il fondo
dell'impudenza nel costruire le città, anche se il ricorso al
popolo non risolve deficit strutturali come quelli fin qui accennati.
e.b.
26/6/2005 luigi bobbio,
franco corsico, matteo robiglio
come si decide una architettura in pubblico; contributo
per il processo di ridisegno degli spazi pubblici del borgo
nuovo.
il dibattito sulla qualità architettonica della sistemazione
esterna del parcheggio di piazzale valdo fusi a torino ha portato
alla luce un nodo fondamentale della costruzione della città
contemporanea: come si costruisce il consenso del pubblico su
un’opera pubblica? questo è il vero elemento di novità,
attraverso il quale torino potrebbe offrire, a partire da un
caso solo apparentemente minore, un contributo utile su un tema
che emerge con sempre maggiore forza nelle città occidentali
(a parigi come a new york).
la città contemporanea è intrinsecamente pluralista. esigenze,
desideri, bisogni e gusti sono diversi, in molti casi opposti.
appartengono alla sfera degli individui e dei gruppi, ognuno
dei quali proietta le proprie attese e volontà sul proprio spazio
di vita. lo spazio privato può essere caratterizzato da ognuno
in indipendenza ed autonomia. lo spazio pubblico della città
è invece il punto di intersezione, per forza unico anche quando
non univoco, di traiettorie molteplici e potenzialmente conflittuali.
lo spazio pubblico della città antica poteva essere deciso dal
sovrano. lo spazio pubblico della città medioevale poteva scaturire
come espressione organica della comunità che lo costruiva. lo
spazio pubblico della città industriale era espressione di una
chiara funzionalità (circolazione, svago, sosta). e oggi? negli
ultimi anni si è ripetuto che la qualità architettonica si ottiene
con i concorsi. valdo fusi ci dimostra che le procedure possono
forse produrre architetture di qualità, ma non garantiscono
che il pubblico dei cittadini vi si riconosca, le consideri
espressione di una visione condivisa. e quindi chieda di rimettervi
mano. come?
la procedura del concorso di architettura ha alcuni limiti intrinseci.
ne evidenziamo tre: la competizione porta i concorrenti ad enfatizzare
il proprio segno distintivo, la propria “cifra”
stilistica, al fine di essere unici e riconoscibili; la selezione
comparativa premia i progetti capaci di semplificare fortemente,
di essere chiari ed essenziali; l’elaborazione di proposte
compiute e formalizzate in tutti i loro diversi aspetti esclude
ogni possibilità di revisione, rende delicato ogni adattamento.
ci pare quindi che il concorso, nella sua forma tradizionale,
non sia lo strumento adatto per ridisegnare valdo fusi, che
è già stato l’esito di un concorso, e tanto meno sia adatto
ad affrontare un tema complesso e delicato come il sistema degli
spazi aperti del borgo nuovo.
i limiti delle procedure concorsuali correnti potrebbero essere
superati attraverso un processo di costruzione di una commessa
pubblica condivisa. intendiamo con questa espressione definire
un percorso di lavoro partecipativo, parallelo alle necessarie
indagini tecniche e storiche, che attraverso il coinvolgimento
dei cittadini esplori preventivamente in una fase di ascolto
del territorio bisogni, esigenze ed aspettative, ponendoli alla
base di un successivo studio progettuale affidato ad architetti
professionisti, con tappe di verifica pubblica intermedia e
messa a punto delle soluzioni proposte. spetterebbe alla fase
di ascolto definire ad esempio i contorni dell’ambito
da ridisegnare, le vocazioni e gli usi possibili dei diversi
spazi, le caratteristiche morfologiche desiderate. per l’individuazione
degli architetti potrebbe essere utilizzata la procedura francese
del marché de définition, poco nota in italia ma del tutto compatibile
con la normativa nazionale. si tratta di una procedura di tipo
concorsuale che viene impiegata nei casi in cui la collettività
non è in grado di definire con precisione un mandato di opera
pubblica (si veda http://www.localjuris.com.fr/archives/marches2001/guidemp/proced/defini.htm).
essa si sviluppa di solito – anche se può essere adattata
ai casi specifici - in tre fasi: inizialmente si individua,
con procedura aperta e selezione sulla base del curriculum,
un certo numero di gruppi professionali di livello internazionale
(dell’ordine di 10). a questi viene sottoposto il risultato
della fase di indagine preliminare, invitandoli a formulare
una proposta sintetica di approccio al tema di progetto; sulla
base delle proposte formulate si selezionano tre gruppi, che
vengono incaricati di sviluppare in parallelo le loro proposte
progettuali, con l’impegno a verifiche pubbliche periodiche.
al termine di questa terza fase si procede alla scelta della
proposta da portare in attuazione. in tutte le fasi, la scelta
può essere effettuata da una giuria pubblica dei cittadini.
la realizzazione del progetto prescelto può essere affidata
direttamente ai professionisti che ne sono autori, o affidata
agli uffici tecnici della città.
siamo fin d’ora disponibili per approfondire questa ipotesi,
che ci pare possa offrire la rapidità, qualità, condivisione
e trasparenza che il “caso” valdo fusi richiede,
ma che crediamo anche possa costituire un utile precedente per
altri luoghi ed interventi nella città.
4/7/2005 mercedes
bresso
ringrazio molto per il pensiero avuto ed esprimo la
mia personale simpatia per il progetto. tuttavia, il ruolo istituzionale
che rivesto non mi permette di aderire a un comitato di cittadini.
vi suggerisco di contattare l'assessore regionale all'urbanistica,
sergio conti, per un eventuale appoggio che svincoli, in ogni
caso, dall'adesione. cordiali saluti, mercedes bresso.
2/9/2005
benedetto camerana
ho letto la proposta bobbio-corsico-robiglio, nulla di nuovo
(in europa) ma in italia raramente vista (a me è capitato su
un concorso, peraltro felicemente vinto, per un opera non a
caso da realizzare tra italia e francia) sicuramente
la soluzione porterebbe a un buon risultato, voglio dire a un
buon progetto finale, e le cose migliori sono la ricerca iniziale
e la discussione del progetto giá consegnato, ma ci sono dei
contro:
- tempi lunghi: tre fasi sono tante
- costi alti: c'é da pagare la ricerca pre-concorso, e i partecipanti
richiedono un premio piú alto per un concorso in piú fasi
- pericoloso coinvolgere il pubblico, quando non si ha una committenza
pubblica salda...non é il caso nostro???
2/11/05
giovanni torretta
Ho
letto il documento del Comitato che mi avete indirizzato dopo
l’ultima riunione e vi invio, anche se non immediatamente,
alcune osservazioni che ritengo condivise dalla nostra Società
anche se non sono state ufficialmente sottoposte ad approvazione
del nostro Consiglio Direttivo.
Nel
documento non si coinvolge la commissione giudicatrice del concorso.
Si tratta di commissioni composte da persone che fanno le scelte
più importanti e che non vengono mai chiamate in causa per le
conseguenze del loro lavoro. A lavori ultimati, a gettone di
presenza incassato, i commissari scompaiono e tornano alle loro
consuete attività. Le Amministrazioni che li hanno nominati
si trovano a dover gestire i risultati, spesso in condizioni
quasi irreparabili.
Il
Valdo Fusi ha seguito una procedura corretta, con pubblicazione
di tutte le fasi di selezione del progetto. I progettisti sono
stati bersagliati senza tener conto che non hanno fatto altro
che portare a termine la proposta che avevano avanzato e che
era stata scelta. Semmai è curioso che gli Ordini non abbiano
preso le difese dei progettisti. L’esecuzione rudimentale
dei dettagli non è certo loro imputabile.
Stiamo
parlando del Valdo Fusi ma non lascia meno perplessi il Palafukas.
Almeno il V.F. è un parcheggio che funziona ma il Palafuksas
non funziona come mercato, è costato il triplo del preventivato,
avrà costi di gestione superiori agli incassi di coloro che
dovrebbero utilizzarlo, è perlomeno discutibile come inserimento.
Mi sembra che ce ne sia a sufficienza per chiedere ragione a
chi lo ha scelto.
Si
tratta di argomenti che sono più urgenti e comunque prioritari
rispetto a quelli che sembrano preoccupare maggiormente il comitato
V.F., argomenti tutti orientati a studiare le modalità di costruzione
del consenso. Quasi farebbe pensare che se il consenso fosse
stato curato il giudizio collettivo sul Valdo Fusi sarebbe stato
diverso. E’ probabile ma avrebbe dovuto essere un giudizio
orientato e non manipolato.
A
me sembra prioritario occuparsi di come vengono nominati i commissari
che scelgono i progetti, delle loro competenze e della attribuzione
pubblica a loro dei meriti e dei demeriti delle scelte.
In
tempi lontani mi sono occupato della costruzione del consenso,
o meglio, della raccolta ragionata delle aspettative e della
valutazione delle possibilità del loro orientamento. Perché
di questo si tratta: il consenso va costruito e soprattutto
orientato. Si tratta di un lavoro lungo e molto impegnativo
di maturazione reciproca e di reciproca influenza tra cultura
alta e aspettativa proveniente dal mondo non disciplinare.
I
mezzi di comunicazione sono interessati quasi esclusivamente
agli aspetti scandalistici e pochissimo ad iniziative di lungo
respiro che facciano maturare la collettività cui si rivolgono.
Quindi altro argomento importante per muoversi nella direzione
della costruzione di condizioni culturali non provinciali ma
radicate e fondate su obiettivi condivisi e solidi, riguarda
i mezzi con cui si può operare. Mostre o iniziative frequentate
da marginali cerchie di affezionati rischiano di consolidare
compiacimento e giudizi elitari che incancreniscono ulteriormente
il distacco tra i presunti “esperti” di settore
e la più vasta collettività degli utenti.
Da
ultimo: il comitato non dice nulle sul trattamento fatto alla
piazza (e ai progettisti) avendovi collocata l'incredibile baita
canadese: ma dove è finita l'etica professionale, che imporrebbe
delicatezza nel momento in cui si interviene sull'opera di un
collega? Come si può demolire in modo tanto grossolano uno spazio
pubblico, per quanto non gradito?
Se
vogliamo prendere iniziative che contribuiscano a migliorare
l’operare collettivo sullo spazio pubblico dobbiamo approfittare
delle occasioni che si presentano per affrontare tematiche ricorrenti.
Lo
stesso discorso vale anche per Piazza Vittorio e i pollai, per
Piazza Castello e i cioccolatai, per Piazza Carignano e i commerci
equi e solidali, per i monumenti trasformati in supporti pubblicitari
e per tutte le altre attività che fanno della città una fiera
permanente, dove in virtù della "temporaneità" tutto
è permesso, in un continuo tentativo di rendere "eccezionale"
una situazione che meriterebbe soltanto di essere semplicemente
normale, con un arredo adeguato, il verde curato, le automobili
parcheggiate, i tram che passano e si fermano, i negozi, i caffè
e le persone etc. etc…
Quando
si parlava della necessità che la città venisse riappropriata
dagli abitanti più deboli e resa più disponibile si intendeva
un’altra cosa.
Quest’ultima
osservazione potrà sembrarvi fatta da un anziano disilluso,
invece è stata suggerita da uno dei nostri consiglieri più giovani.
21/12/05
andrea miglietta
Gentilissimi signori, faccio seguito ai messaggi ricevuti e
vi trasmetto il contributo promesso. E' una goccia nel mare,
ma speriamo che tutto serva, poiché la situazione
attuale del piazzale è veramente un'offesa alla memoria
della persona di cui porta il nome. Ho cercato di essere positivo,
ma non è facile, vedendo che, al momento e per chissà
quanto, mettiamo in mostra, a spese dei contribuenti, le sterpaglie
più costose al mondo. Con stima, Andrea Miglietta
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