Così cambia (in peggio) il volto di Torino
9 dicembre 2004
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Si apre il dibattito intorno al futuro urbanistico di Torino. La domanda è la seguente: una città che rinasce dalle sue ceneri (l’industria) e investe migliaia di milioni di euro (anche pubblici) deve anche pensare alla bellezza e alla qualità architettonica? Risposta ovvia ma non scontata: sì. Purtroppo, invece, la capitale del Piemonte è tutto un fiorire di palazzoni in puro stile anni Sessanta, di parcheggi interrati che però riescono a rovinare piazze antiche, di viali sfregiati da lampioni orribili, di piccoli grattacieli che non fanno pensare a New York, ma alla Mosca di epoca sovietica. I trecento cantieri che oggi infestano Torino e fanno disperare gli automobilisti stanno cambiando il volto della città. Stanno sorgendo tante case anonime, mentre la metropolitana sembra nascere già insufficiente e con un percorso discutibile. Il bello è che a dire tutto questo è l’architetto Augusto Cagnardi, il padre (non padrone) del Piano regolatore di Torino, lo stesso professionista che ha disegnato sulla carta la nuova città e che, vedendola poi concretizzata con cemento e mattoni, ha denunciato sul principale (ed egemonico) quotidiano cittadino lo scempio. «È un orrore», ha dichiarato con tono quanto mai severo. Il fatto non è questo, però. Il problema è che Torino, con due milioni di metri quadri di aree da reinventare, poteva osare. Poteva rischiare e cercare di fare qualcosa di eccezionale, di segnare il territorio, tentando di lasciare segni come quelli che lasciarono Juvarra, Guarini, Alfieri e Molino. Invece ha fatto poco o niente di tutto ciò. Ma c’è chi può recitare un “io l’avevo detto”, con ben ventiquattro mesi di anticipo. Questa denuncia, infatti, l’aveva mossa per primo il “Sole 24-Ore” e a lanciarla era stato il corrispondente subalpino del quotidiano economico, Augusto Grandi. Intervistando esperti e fotografando una realtà che già due anni fa cominciava a svelarsi, aveva scritto sul giornale economico della Confindustria quanto stava accadendo. C’era ancora tempo per rimediare, allora. Ma non lo si è fatto. Che ne dice Grandi? «Al di là delle opinioni personali - sottolinea - queste realizzazioni rappresentano evidentemente un’occasione sprecata: non si lascia alcun segno dopo una grande rivoluzione urbanistica». Sergio Chiamparino, il sindaco, ha chiesto di aspettare la fine dei lavori per giudicare. Ad esempio in corso Rosselli, dove pure è spuntata una fila di casermoni degni della più degradata periferia... Se tutto va bene, i lavori saranno conclusi tra dieci anni. In ogni caso, prendendo proprio l’esempio di corso Rosselli, la quinta dei palazzi già costruiti nasconderà di fatto il grattacielo della Regione, che rimarrà alle sue spalle. L’effetto prospettico, insomma, è già compromesso. Ancora peggio per la nuova biblioteca civica, se va bene pronta nel 2010, affogata in mezzo a palazzi dall’architettura quanto mai banale. È troppo tardi per cambiare il corso di questa trasformazione urbanistica? Assolutamente sì. Quello che è stato costruito non si può certo abbattere. Eppure, con 2 milioni di metri quadri da riconvertire, per Torino sarebbe stata un’occasione fantastica. E poi intervenire sugli errori è sempre un costo raddoppiato: se, come dicono, rifaranno piazzale Valdo Fusi eliminando parte della struttura, alla fine avranno pagato due progetti e due lavori per la stessa commissione. I costruttori sostengono che, vendendo a 2.000-2.500 euro al metro quadro non possono fare di meglio. È vero? Probabilmente no, secondo Fuksas è assolutamente falso. E molte realizzazioni in giro per il mondo, vendute agli stessi prezzi, confermano che si può fare buona architettura con profitto d’impresa. Anche in Europa, naturalmente. Grandi, quando lei lanciò sul “Sole-24 Ore” la sua campagna contro la rivoluzione urbanistica di Torino, i riflessi sull’opinione pubblica torinese furono pochi e si cercò di non parlarne troppo, salvo una ripresa della questione da parte di un foglio di sinistra che però non scosse gli animi del cittadino medio torinese. Oggi si muove “La Stampa”, ma probabilmente è un po’ tardi. A quell’epoca che risposte ebbe dall’amministrazione? «Mi dissero, a taccuino chiuso, che sbagliavo a raccontare le cose negative di Torino, perché facevo fare brutta figura alla città. Io risposi che la brutta figura la facevano fare loro con le loro opere». Ma allora non c’è proprio niente di bello in questa nuova Torino? «Ma sì, ci sono anche cose belle, purtroppo annegate in un mare di banalità. C’è il nuovo arco passerella del Lingotto, che segnerà il territorio in modo significativo e sarà il vero simbolo delle Olimpiadi. Oppure la biblioteca civica, anche se ad anni dalla presentazione del progetto non si è visto posato nemmeno un mattone». Il dibattito a Torino divide la popolazione in due: c’è chi definisce orribili le nuove realizzazioni e chi dice che orribili non sono. Ma è questo il vero problema? «No, lo ripeto: esistono alcuni progetti davvero orribili ma è la banalità a prevalere. La questione è semplicemente che non si sono fatte cose eccezionali, come invece a Barcellona o a Berlino, dove pure i costi di costruzione sono paragonabili ai nostri».