Eppure la citta’ cambia
1 novembre 2004
di Salvatore Tropea
Torino capitale del libro 2006-2007 con la collaborazione di Roma e forte della consolidata esperienza acquisita con la Fiera. In ordine di tempo è l´ultima conquista/riconoscimento di una città che da tempo insegue una nuova identità nella consapevolezza che la crisi della Fiat ha cancellato definitivamente la sua immagine di luogo deputato all´industria e l´ha messa di fronte alla necessità di costruirsene una diversa alla quale forse aspirava da tempo senza successo imprigionata nel modello della company town. Essa si aggiunge alle tante altre novità di questa trasformazione epocale che, con un´attenta regia, potrebbe tra non molto cancellare la nostalgia del salone dell´automobile protesi espositiva della monocultura industriale e vetrina antropologica di una Torino che non esiste più. Per molti versi aiuta anche a cogliere il segno reale di quel cambiamento che la politica non riesce a trasmettere anche quando ne è artefice o comprimaria. Torino che stupisce il mondo con una salone del gusto contaminato sapientemente da quell´invenzione del padre dello slow food Carlin Petrini che è stata Terra Madre. E ancora Torino che si candida con successo a ospitare il congresso mondiale di architettura. Torino che, tra non poche difficoltà e qualche errore di troppo, organizza le Olimpiadi invernali del 2006 e trova un alleato di lusso nel presidente Ciampi che la proietta sullo scenario mondiale facendosi promotore di un gemellaggio olimpionico con Pechino. Torino che riscopre la sua antica vocazione cinematografica e oltre a riproporsi come set mette assieme all´ombra della Mole trasformata in uno dei più prestigiosi musei del cinema del mondo un lungo elenco di rassegne del settore con particolare attenzione alle novità e alla sperimentazione. Torino che anticipa e s´impone con le sue gallerie d´arte e che stupisce per la vivacità e la forza di quel motore culturale messo in moto da Giuliano Soria con il Grinzane Cavour. Insomma Torino che elabora come faceva in passato ma su terreni diversi dal passato. E’ confusa con il nuovo modello di sviluppo. Si tratta infatti di tante cose che, ben combinate assieme, contribuiscono alla individuazione e successivamente alla realizzazione del progetto pur non essendo il progetto. Le istituzioni e la classe politica che ne fanno parte, assieme ad altri soggetti, devono saper cavalcare questa onda con coraggio e con orgoglio, senza farsi piccoli,con la convinzione di potercela fare. E, soprattutto, senza coltivare illusioni o indulgere in metodi che mostrano tutta la misera inutilità di certe astuzie di cui la città stessa si sta incaricando di dimostrare che può farne a meno. Quali siano questi rischi da evitare lo si può facilmente intuire da alcuni piccoli ma significativi episodi che testimoniano la complessità della transizione dal vecchio al nuovo. Appena qualche giorno fa il Corriere della Sera, giornale della borghesia milanese, si è completamente dimenticato di dare conto, anche con quella che in gergo viene definita una «breve di cronaca» per dire una notiziola, del presidente Ciampi che invitava a impegnarsi per la migliore riuscita di quelle Olimpiadi di cui lo stesso quotidiano appena un giorno prima aveva riferito ma solo per la parte relativa ai problemi finanziari e di gestione del Toroc. Dell’appello della più alta carica dello stato e della sua intenzione, appunto, di un gemellaggio con la capitale cinese, neppure una parola. Domanda: si ritiene realmente che la Milano, di cui il Corsera è largamente espressione, sia così felice di procedere verso l’integrazione proposta con Mi- To? Altro segnale. Venerdì scorso, la Repubblica e La Stampa hanno pubblicato a firma congiunta di Sergio Chiamparino e Carlo Olmo un articolo, apparentemente inutile o superfluo, per difendere l’indifendibile, ovvero per spiegare ai cittadini che, tutto sommato, il parcheggio di piazza Valdo Fusi, non è quel che si suole definire una bella opera ma, con qualche accorgimento, non solo può diventare passabile ma può anche acquistare qualche valore estetico e una non meglio precisata funzione. La verità è che quell’opera, ideata male, progettata peggio, realizzata con ritardi record, è come quei vestiti di cui i vecchi sarti sbagliavano il taglio compromettendo irrimediabilmente l’àplomb e avventurandosi poi in mille acrobazie di mestiere nel tentativo vano di limitarne i danni, salvando il salvabile.Difficile trovare altra spiegazione all’inutile eccezionalità del messaggio congiunto del sindaco e del city architect ai torinesi per l’orrore urbanistico di piazza Valdo Fusi. Domanda: non sarebbe stato più consono il silenzio?